SPECIALE DAVID DI DONATELLO 2025 - I generi:
un’offerta molto più variegata
I
David di Donatello del 2016 hanno segnato una svolta nel riconoscere al cinema di genere una sua dignità. I due vincitori del maggior numero di statuette sono stati Gabriele Mainetti con
Lo chiamavano Jeeg Robot, un thriller supereroistico e Matteo Garrone, con "
Il racconto dei racconti", una favola fantasy. A vincere a sorpresa quell’edizione fu una commedia, genere che mancava al palmares da 15 anni ("
Pane e tulipani" di Silvio Soldini, 2000): "
Perfetti sconosciuti" di Paolo Genovese. I
David di Donatello sono stati testimoni negli anni di questo rinnovo dell’offerta grazie al ritorno in auge del cinema di genere, un cinema “medio” “
carico di umori e fermenti contemporanei, ma anche di soluzioni narrative e di forza spettacolare” (Lino Miccicché, 1980).
Dal 2016, i film di Mainetti, Rovere, Sibilia, Sollima, fratelli Manetti… hanno confermato questa tendenza di riappropriazione ma anche di destrutturazione dei generi. Fra le 69 opere che hanno ricevuto una candidatura negli ultimi tre anni è rintracciabile questa macro categoria, alla stregua dei notevoli thriller della scorsa stagione firmati da Sollima (il crepuscolare "
Adagio") e dall’attore Di Stefano (L’ultima notte di Amore). L’influenza del fumetto si palesa in "
Diabolik" dei Manetti Bros e "
Dampyr" di Chemello e aleggia nelle produzioni Goon (Mainetti) e Groenlandia (Rovere) ma anche in "
Comandante", film “di guerra” di De Angelis. Non a caso la recente categoria degli effetti speciali visivi consente ad una nuova tendenza nel cinema italiano di irrompere nei David: i film d’anticipazione, distopici, con "
Siccità" di Virzì e horror con, appunto, "
Dampyr".
Un genere tutto italiano, invece, non smette mai di rinnovarsi e di offrire pellicole spesso di ottimo livello: il film di mafia e le sue infinite declinazioni. L’archetipo di "
Ti mangio il cuore" (Mezzapesa) viene scalfito da una ribellione al femminile mentre "
Iddu" (Piazza, Grassadonia) ne propone una versione grottesca e l’esordio "
Spaccaossa" (Pirotta) una visione di rara cupezza. In "
Nostalgia" (Martone) e "
Hey Joe" (Giovannesi), i due “opereeroi” tornano a Napoli e dovranno fare i conti con la sua natura mafiosa. Sintomatico il percorso del giovane spensierato protagonista di "
Ciao bambino" (Pistone) segnato da uno spietato determinismo sociale.
Il cinema socialmente impegnato, portatore di un messaggio progressista, non manca mai. Si denuncia la violenza assurda della macchina capitalista sull’uomo ("
Cento domeniche" di Albanese, "
Palazzina Laf" di Riondino), dell’uomo sulle donne (Familia di Costabile, C’è ancora domani, di Cortellesi…) o sui migranti ("
Io capitano", di Garrone), dell’ignoranza sulla diversità ("
Stranizza d’amuri", "
Il ragazzo dai pantaloni rosa" di Ferri, "
Il Signore delle formiche" di Amelio), della guerra sui bambini ("
I bambini di Gaza" di Loris Lai)… Anche se alcuni cercano altre vie (Cortellesi, Riondino), la maggior parte di questi film sono drammatici, tonalità comunque dominante nel cinema italiano.
La commedia può spesso essere amara o drammatica come insegna “la commedia all’italiana”, e riscuotere il successo del pubblico; negli ultimi due anni hanno vinto il
David dello spettatore due prodotti di qualità, quelli di "
C’è ancora domani" e "
Diamanti" di Ozpetek. Ma anche se rivalutata, la commedia pura rimane appannaggio di un cinema commerciale che raramente si concilia con il successo ai David. Eccezioni possono essere lo sportivo "
Zamora" (Marcorè) o il musicale Mixed by Erry (Sibilia); opere “generazionali”: i trentenni di "
Margini" (Falsetti), o i sessantenni di "
Astolfo" (Di Gregorio); o la summa della filmografia di Moretti,"
Il sol dell’avvenire". All’opposto, i film drammatici spesso sviscerano i rapporti complessi fra genitori e figli: un figlio col padre in "
Brado" (Rossi Stuart), un altro, adulto, con la madre in "
El Paraiso" (Artale), una figlia con i genitori in "
Felicità" (Ramazzotti).
Il cinema storico viene puntualmente messo in luce dalle categorie “tecniche” dei David (scenografia, costumi, trucco, acconciatura); negli ultimi due anni, "
Rapito" (Bellocchio) e "
Le déluge – Gli ultimi giorno di Maria Antonietta" (Jodice) hanno vinto le 4 statuette. Queste opere “in costume” sono spesso dei biopic o comunque introducono celebrità per lo più italiane: gli artisti "
Dante" (id, Avati), Pirandello ("
La stranezza" di Andò), Caravaggio ("
L’ombra di Caravaggio" di Placido), Luigi Comencini (
Il tempo che ci vuole della figlia Francesca), la santa Chiara d’Assisi (Chiara di Nicchiarelli) o i politici Enrico Berlinguer ("
Berlinguer – La grande ambizion"e, di Segre) e Aldo Moro ("
Esterno notte" di Bellocchio)… O personaggi inventati ("
Gloria!" di Vicario e "
Lubo" di Diritti).
"
Esterno notte", tra l’altro, sarebbe una mini serie. Lo sono anche"
L’arte della Gioia" (Golino) e "
Dostoevskij" (fratelli D’Innocenzo) usciti brevemente in sala. Oltre a registi che sperimentano nuovi formati, taluni ricreano mondi paralleli anche fra gli esordienti: Abbruzzese in "
Disco boy", Cavalli in "
Amanda", Trinca in "
Marcel!". Altri autori prolungano la corrente del realismo magico, quasi un sottogenere: Rohrwacher con "
La chimera", Marcello con "
Le vele scarlatte", ma anche Delpero con "
Vermiglio", Dante con "
Misericordia", Mereu con "
Bentu"… Alcune opere si avvicinano al docufilm: "
Princess" di De Paolis e "
Vittoria" di Cassigoli e Kauffman.
Molti di questi cineasti provengono dal documentario; inversamente, diversi registi di fiction passano o ritornano al cinema del reale. Fra i 40 documentari segnalati nelle short list, 18 sono firmati da autori spesso affermati: Luchetti, Martone, Munzi, Vicari... A volte gli artisti hanno addirittura concorso sui due fronti: l’anno scorso, Milani, Mollo, Moroni e Santambrogio. Anche due attrici sono passate dietro la cinepresa: Kasia Smutniak ("
Mur") e Sonia Bergamasco ("
Duse, The greatest"). Tra l’altro, bisognerebbe a sua volta rendere conto di tutti i sottogeneri che compongono la tipologia dei documentari.
Infine, i film d’animazione non godono della propria categoria ai David, come in Francia o negli Stati Uniti, perché la produzione è troppo limitata. L’ultima candidatura di un cartone a un David risale al 2020. Tuttavia, quest’anno, 6 opere figuravano fra quelle “in concorso” di cui almeno due di rilievo: "
Linda e il pollo" di Malta e Laudenbach (premiata in Francia) e "
Invelle" di Stefano Massi (già vincitore di un David per un corto), arrivato settimo alla prima tornata di votazione dei David per gli esordi e che sicuramente meritava miglior sorte.
PRIMA PARTE DELLO SPECIALE: Le novità, le sorprese
SECONDA PARTE DELLO SPECIALE: Le donne alla ribalta dei David
TERZA PARTE DELLO SPECIALE: Il battaglione degli esordienti, questi sconosciuti03/06/2025, 19:04
Alain Bichon