Il cast giovane e i registi di "Sicilian Ghost Story"
Fabio Grassadonia e Antonio Piazza tornano a raccontare la loro Sicilia, sempre buia e coperta da uno strato di indecifrabile malattia. Prima era la cecità della protagonista, ora sono i sogni e gli incubi dei personaggi principali che ci portano dentro al mondo e agli affari di quella malavita che hanno coinvolto e avvelenato la vita di tutti.
Una storia vera di mafia, una vendetta verso uno dei primi pentiti che i picciotti provarono a fermare rapendo il figlio tredicenne: quel ragazzo incolpevole che, come venne poi reso noto nel corso di inchieste successive, venne ucciso dopo oltre 700 giorni di prigionia e poi sciolto nell’acido.
A non smettere di cercarlo è la sua giovane compagna di classe, Luna, sul punto di diventare la sua fidanzatina proprio quando la mafia lo prelevò facendolo scomparire dalla faccia di questa terra. Le sue ingenue ma ostinate richieste di verità, in una situazione che ricorda l’Impastato de I Cento passi, si perdono in un clima di omertà e stupidità che non condanna ma preferisce voltarsi dall’altra parte.
Sicilian ghost story, che come suggerisce il titolo si risolve con un incontro soprannaturale, dura forse troppo (oltre 2 ore) reiterando azioni e visioni che prima di affascinare per l’estetica (la fotografia è di Luca Bigazzi) rischiano di far perdere l’attenzione dello spettatore. Forse l’eccessiva ricerca di autorialità, l’esigenza di mostrare la propria classe, arricchiscono ma appesantiscono il film, già carico di contenuti e sensazioni nel soggetto di partenza.
Quello dei due registi è comunque un ottimo modo di raccontare la mafia e quanto questa sia capace di coinvolgere e rovinare la vita di tutti, anche di quelli lontani per età e interessi, come la giovane Luna.