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SERIE - Il meglio e il peggio delle serie tv italiane 2018


La serialità italiana fa indiscutibili passi in avanti. Registi, attori, sceneggiatori portano la qualità del cinema nei prodotti da vedere a casa. Ma lo zoccolo dure degli spettatori resiste, specie in tv, e allora si continua anche con produzioni scadenti (o scadute). Per fortuna l'arrivo delle piattaforme web mette tutti di fronte al meglio delle serie realizzate nel mondo e anche in Italia si comincia a sentire il dovere di provarci.


SERIE - Il meglio e il peggio delle serie tv italiane 2018
Marco Giallini è Rocco Schiavone
PROMOSSE

"L’amica geniale"

Sicuramente il maggiore successo di questa stagione televisiva: la serie tv tratta dal best seller di Elena Ferrante ha ottenuto una media di 7 milioni di spettatori a puntata. Gli anni ’50 sono lo scenario: un romanzo di formazione, due amiche legate indissolubilmente l’una all’altra. Due piccole grandi donne in fuga dalla sottomissione patriarcale, dalla violenza e dall’ignoranza. Una produzione di livello internazionale messa in piedi da Fandango e Wildside con Rai Fiction e l’americana Hbo, regia di Saverio Costanzo. Confermata la seconda stagione con "Storia del nuovo cognome".

"Rocco Schiavone 2"

La seconda stagione della serie ideata da Antonio Manzini, in quattro episodi su Rai2 diretta da Giulio Manfredonia, conferma come il vicequestore Rocco Schiavone, incarnato perfettamente da Marco Giallini, segni una nuova era del giallo in tv. Un personaggio per nulla rassicurante e buonista, ma dolente e caustico. Dimenticate il simpatico e corretto Maresciallo Rocca: Schiavone si fa giustizia da solo, fuma le canne ed è disposto a tutto per risolvere un caso. Indiscrezioni parlano della “promozione” della terza stagione in prima serata su Ra1.

"Il cacciatore"

Francesco Montanari in una serie dal respiro internazionale ma che racconta una storia tutta italiana: ispirata alla vita del magistrato Alfonso Sabella e al suo libro “Il cacciatore di mafiosi”. L’attore romano interpreta Saverio Barone, giovane pm che nel 1993, dopo aver denunciato il proprio capo per collusione con la mafia, entra nel pool antimafia di Palermo sulle tracce dei corleonesi. Non la solita fiction Rai: più violenta rispetto ai canoni della tv generalista, il ritmo è serrato, i personaggi non sono stereotipati come succede in altre fiction sulla mafia. E l’interpretazione di Montanari è impeccabile tanto da guadagnarsi il premio come migliore attore protagonista al Canneseries (Cannes International Series Festival).

"Il miracolo"

La serie Sky firmata da Niccolò Ammaniti e diretta insieme a Lucio Pellegrini e Francesco Munzi è innovativa e coraggiosa: una statuetta della Madonna ritrovata nel covo di un boss della ‘ndragheta piange sangue a dirotto. Una spiegazione non c’è e la vita di chi entrerà in contatto con questo enigma verrà cambiata per sempre: da quella del primo ministro interpretato da Guido Caprino a Padre Marcello. I personaggi sono credibili e affascinanti, il cast funziona, il livello creativo e produttivo è altissimo. Una serie non classificabile in un genere. Attesissima la seconda stagione.

"La linea verticale"

Scritta da Mattia Torre, “La Linea verticale” si è rivelato una ventata di freschezza nel palinsesto Rai. Concepito pensando fuori dagli schemi canonici del genere ospedaliero tratta temi delicati come la malattia e la lunga degenza con l’ironia e le situazioni tipiche della commedia. “La linea verticale” sembra dire che, forse, una risata seppellirà il dolore e allevierà la paura della morte che inevitabilmente si fa strada nell’animo di Luigi, interpretato da Valerio Mastrandrea, quando scopre, dopo un controllo, di avere un tumore al rene e quindi di doversi sottoporre ad un delicato intervento chirurgico. Mattia Torre imbraccia ancora il sarcasmo e la schiettezza di “Boris” e punta tutto sulla veridicità delle situazioni, evitando risvolti improbabili e dialoghi stucchevoli tipici di tanti medical drama che hanno invaso negli anni le nostre emittenti. Il merito di questa fiction sta nel mostrare con leggerezza la vera faccia della sanità: la vita quotidiana di chi è costretto dalla malattia a cercare di sopravvivere in un ospedale e la missione di chi sceglie di dedicare la propria esistenza ai degenti.

BOCCIATE

"L’allieva 2"

La solita fiction obsoleta scritta da Peter Exacoustos, Cecilia Calvi, Valerio D'Annunzio e Vinicio Canton: il solito triangolo amoroso della bella protagonista contesa tra due uomini ambientato in ospedale che è uno scenario che attira sempre molto il grande pubblico. Alessandra Mastronardi è Alice, specializzanda in medicina legale che si improvvisa detective, determinata a scoprire la verità sulle morti delle persone sulle quali esegue l’autopsia. Dei casi che si risolvono con facilità e che non hanno mordente. L’attrice purtroppo non si distacca dal ruolo che l’ha resa celebre, quello di Eva della fiction Mediaset “I Cesaroni” del quale in “L’Allieva” si rivedono molte dinamiche simili per quanto riguarda la linea narrativa sentimentale. Una fiction che nelle intenzioni, forse, vuole essere di facile appiglio per un pubblico giovane ma non basta la scelta di giovani e promettenti attori come Lino Guanciale e Dario Aita per centrare l’obiettivo.


"Suburra"

Un’occasione mancata quella della prima serie italiana prodotta da Netflix. Ci si aspettava molto di più dal prequel dell’omonimo film di Stefano Sollima la cui assenza nel progetto si sente forte e chiara. Scritta da Ezio Abbate, Fabrizio Bettelli, Daniele Cesarano, Nicola Guaglianone, Barbara Petronio e diretta da Michele Placido, Andrea Molaioli e Giuseppe Capotondi, “Suburra – La serie” non ha il giusto ritmo e appare come una canonica fiction italiana. Eppure le vicende di Aureliano Adami, Spadino e Samurai sono, sulla carta, allettanti ma non riescono a catalizzare l’attenzione per tutte le dieci puntate. Colpa di una scrittura troppo carica di stereotipi. Nulla da eccepire, invece, su alcune interpretazioni come quella di Francesco Acquaroli nella parte del Samurai, la bella scoperta Barbara Chichiarelli che interpreta Livia Adami e naturalmente Alessandro Borghi in quello che sarà Numero 8. Si spera in una netta ripresa nella seconda stagione online da febbraio.

"Baby"

Una buona partenza per la seconda serie tv italiana targata Netflix scritta da i GRAMS e ideata da Isabella Aguilar e Giacomo Durzi che, però, si tramuta già dalla terza puntata in un teen – drama stereotipato sull’universo vuoto e superficiale dei giovani pariolini. Non il prodotto provocatorio e accattivante che ci si aspettava da una serie ispirata allo sconvolgente caso di cronaca delle “baby squillo” dei Parioli nel 2014. La regia di Andrea De Sica e Anna Negri è di qualità ma le storie intorno ai protagonisti si risolvono nei soliti drammi adolescenziali.


"Solo 2"

Un classico Mediaset sulla scia degli “storici” “Distretto di Polizia” e “Squadra Antimafia”: l’infiltrato Marco Bocci contro la ‘ndrangheta. Una seconda stagione meno d’azione e più ricca di dialoghi e riflessioni che perde così smalto. Gli autori Mizio Curcio, Andrea Nobile e Giorgio Nerone infarciscono di retorica e buoni sentimenti lo script banalizzando un argomento, quello mafioso, trattato in altre occasioni con maestria e in maniera avvincente. Vedi il prodotto di punta della serialità italiana “Gomorra” o il recente successo de “Il Cacciatore”.

"Il confine"

Miniserie Rai per celebrare il centenario della fine della Grande Guerra della quale non si sentiva l’esigenza. “Il Confine” racconta il grande conflitto attraverso il punto di vista di tre inseparabili compagni di scuola, in una Trieste lacerata dalle spinte irredentiste e conservatrici che hanno determinato lo scoppio della guerra. Gli elementi dello sceneggiato anacronistico ci sono tutti: tre giovani di belle speranza divisi dalla guerra, un amore ostacolato, le interpretazioni degli attori impostate e innaturali. La guerra resta sullo sfondo, le poche scene di battaglia sono mal girate, i dialoghi sono retorici e stucchevoli.

28/12/2018, 09:46

Caterina Sabato