Note di regia di "Duse"
Nel mio percorso di regista, ho sempre avvertito una doppia tensione: da un lato, consideroil documentario lo strumento più efficace per restituire il nostro presente; dall’altro, quando scelgo la finzione, lo faccio per raccontare storie appartenenti a epoche lontane o a mondi immaginari. Quando ho incontrato la figura di Eleonora Duse, è stato naturale scegliere la finzione per raccontarla: chi era davvero? Come recitava? Non abbiamo registrazioni della sua voce, solo poche fotografie e un unico film. Per me, Duse è diventata una figura mitica, sfuggente.
L’incontro con Eleonora Duse è avvenuto per caso. Ero affascinato dal periodo storico in cui è vissuta, ma conoscevo poco la sua figura, spesso oscurata dalla sua relazione con D’Annunzio. Scoprire la sua straordinaria vita di attrice e di donna è stato come imbattersi in un personaggio inaspettato e straordinario. La storia di Eleonora Duse mi ha colpito immediatamente per le contraddizioni umane che ne hanno caratterizzato l’esistenza: il rapporto conflittuale tra il suo desiderio di vivere una vita “normale” e il suo destino di attrice costretta, fin dalla più giovane età, a recitare la vita degli altri; il bisogno di lasciare un segno nella società e la natura ineffabile ed effimera del teatro; l’impossibilità di conciliare la maternità con il lavoro; il desiderio di autonomia e i grandi rovesci imprenditoriali; la tentazione della gloria e la spinta alla ricerca e alla sperimentazione.
Dietro i grandi successi della “Divina” si nascondevano fallimenti altrettanto sensazionali che sono a mio avviso una delle chiavi più interessanti per comprenderne la profonda umanità. Non volevo raccontare semplicemente chi fosse la Duse attraverso un biopic, ma raccontare l’anima di una donna nel suo tramonto.
Eleonora fu una donna condannata dal proprio talento e dalla sua visione rivoluzionaria del teatro a trovare una dimensione di grandezza solo sul palcoscenico. Nella vita reale, si scontrò con i limiti propri e della società del suo tempo. Un’artista è sempre figlia del suo tempo: Duse, invece, era irrimediabilmente in anticipo.
Nonostante questo, è stata capace, tra mille peripezie, di condurre la sua compagnia oltre le montagne, proprio come un regista fa con la sua troupe. Il film è quindi un’epopea paradossale.
La scelta di concentrarsi sugli ultimi anni della sua vita, tra il 1917 e il 1923, è venuta naturalmente. In quel periodo, Eleonora affronta il suo bilancio finale: con l’arte, con il proprio corpo, con la maternità, con D’Annunzio, con la storia d’Italia.
L’incontro tra la Duse e la grande storia mi offre tra l’altro la possibilità di indagare altri temi che mi coinvolgono: da una parte il ruolo dell’artista di fronte a tragedie come la guerra, la povertà e il dolore e dall’altra le possibili declinazioni del rapporto tra arte e potere. Non volevamo raccontare chi fosse Duse, ma restituirne l’anima, in un tempo di passaggio, quando l’energia della giovinezza cede il passo alla forza ostinata della maturità. Una donna segnata, ma ancora spinta da un impulso profondo. Anche nel dolore, nell’arte, nella vita.
Il film è nato in perfetta sintonia con Valeria Bruni Tedeschi, che è stata da subito la mia unica scelta per interpretare Duse. In lei ho trovato quel fuoco creativo, quella forza interiore che cercavo. Valeria non è solo un’attrice straordinaria, è anche una regista e una compagna di lavoro con cui ho potuto condividere ogni scelta. Lavorare con lei è stato un privilegio e una gioia. Anche il lavoro con il cast è stato prezioso. Attori straordinari che hanno dato anima e corpo a personaggi complessi, in un clima di vera compagnia teatrale, guidata da Valeria come un’autentica capocomica.
Tra le suggestioni del film, c’è la figura del Milite Ignoto. Quel treno che attraversa l’Italia, trasportando il corpo senza nome di un soldato, diventa simbolo di un Paese spezzato.
Il viaggio è davvero il respiro stesso del film. Duse non si fermava mai: in tutta la sua vita non restò mai più di quaranta giorni nello stesso luogo. Sempre in movimento, come un treno in corsa, sempre alla ricerca.
Ecco, questa è la Duse che abbiamo raccontato. Non quella che è stata, ma quella che continua a viaggiare. Come un treno che non si ferma mai.
Pietro Marcello