Già solo il fatto di essere venuto in possesso di una storia scritta da Federico Fellini e Tullio Pinelli, di cui si sapeva poco o niente, mi è sembrato meraviglioso. Quando poi ho letto questo “trattamento-sceneggiatura” di circa 80 pagine, la meraviglia è diventata desiderio e spinta creativa. È una bellissima storia ambientata alla fine degli anni ’40 a Napoli, poi su un piroscafo in viaggio per New York e infine nella grande metropoli americana. I protagonisti sono due scugnizzi napoletani, Carmine e Celestina, rispettivamente di 12 e 9 anni, senza famiglia né domicilio stabile, che si imbarcano come clandestini per andare in America a raggiungere la sorella della bambina e cercare una nuova vita. Il viaggio, l’altrove, la solidarietà sono temi che ho spesso trattato nei miei film. Ho anche spesso lavorato con i bambini ed è una cosa che mi ha sempre dato gioia. I bambini non “recitano”, vivono davvero quello che stanno facendo in un “gioco” molto serio. Non è un caso che in inglese o francese “recitare” si dica “to play” o “jouer”: giocare! Mi sono trovato davanti a una storia avventurosa, divertente, commovente che ci racconta, tra l’altro, come una volta eravamo noi i “migranti”, gli “stranieri”, i “diversi” (un tema molto attuale!). Ci sono due bambini napoletani come me (sono nato lì solo un anno dopo quello in cui è ambientata la storia), c’è il tema del viaggio, del cambiamento, il problema di diventare adulti... il tutto scritto da Fellini e Pinelli. Come fare a non lasciarsi coinvolgere? Fellini... La storia è stata scritta alla fine degli anni ’40. Prima, cioè, che Fellini mettesse a punto la sua personale poetica che lo ha reso famoso nel mondo, al punto che la parola “felliniano” è diventata indicativa di un preciso immaginario. Qui, invece, il racconto si organizza, in maniera tradizionale, nei classici tre atti e, anche se si può parlare di realismo magico, la storia non contiene gli elementi surreali e onirici che hanno caratterizzato la produzione successiva del Maestro ed è stata scritta in un momento di passaggio per il nostro Cinema: tra il neo-realismo (Fellini tra l’altro aveva collaborato alla sceneggiatura di “Paisà”, film che lui stesso cita nel soggetto), la commedia all’italiana e i primi tentativi di un cinema più “fantastico”. “Napoli-New York” è ispirato a una storia vera raccontata come una favola oppure, se volete, come una favola molto legata alla realtà. Una storia scritta benissimo, con grande bravura nel tenere desta l’attenzione dello spettatore con continue svolte e colpi di scena. Un film “classico” potremmo dire, ma con un’anima molto moderna. Fellini diceva che “la realtà è spesso deludente”... Nello sceneggiare questo trattamento molto dettagliato, con situazioni e dialoghi molto precisi, mi sono tenuto il più possibile fedele all’originale. Ho cercato di rendere ancora più serrato il racconto e di “modernizzare” alcune situazioni che mi sembravano troppo legate ad una sensibilità e a un tono narrativo che appartengono agli anni in cui è stata scritta la storia. L’America e gli americani, ad esempio, sono visti, a volte, ancora avvolti da un’aura un po’ troppo “benevola”. D’altro canto, allora, non conoscevamo ancora bene gli Stati Uniti. E l’America ci appariva ancora come la terra dove si realizzano i sogni. Non ho dovuto intervenire molto, comunque, perché lo sguardo dei due autori è molto moderno e, a volte, persino duro. E poi c’è la sensibilità di Fellini... Prendiamo, ad esempio New York. Nelle note di presentazione del trattamento, Fellini dice di non essere mai stato negli Stati Uniti e che, quindi, l’America che crediti non contrattuali lui racconta è stata scritta sulla base di un immaginario collettivo: un posto lontano, mitico, luccicante, magico... e grande! Dopo essere stato finalmente negli Stati Uniti, Fellini scrive. “È dolce New York, violenta, bellissima, terrificante: ma come potrei raccontarla? Solo qui, nel mio paese potrei tentare l’impresa. A Cinecittà, nel Teatro 5, dove qualunque rischio io affronti trovo sempre a proteggermi la rete delle mie radici”. E anche questo ci ha spinto a ricreare New York in Italia e ad usare i VFX come il Teatro 5. Dal punto di vista narrativo la mancata conoscenza diretta della città americana non nuoce affatto e, anzi, diventa funzionale al racconto. Questa mitica città, vista innumerevoli volte in tanti film, l’abbiamo reinventata in maniera credibile, ma non realistica, così come poteva immaginarla l’Autore e come appare agli occhi dei due scugnizzi napoletani che, come Fellini, non l’avevano mai vista. Pur stando molto attenti alla ricostruzione degli ambienti, dei costumi e, in generale, del periodo storico, questa particolare visione “magica” di New York, di questo altrove sconosciuto e misterioso crea un bel contrasto con la descrizione di Napoli, nella prima parte del film, più realistica e “vera”. Anche se, nei vari episodi napoletani che raccontano anche momenti drammatici, non c’è mai sofferenza, dolore o rassegnazione, ma la normale aspettativa di potersela cavare, di poter “faticare” per guadagnarsi la vita: quella che oggi chiameremmo “resilienza”! Dato che in un film è sempre importante individuare uno sguardo, ho cercato di raccontare la storia con gli occhi dei bambini: la macchina da presa è, infatti, quasi sempre, collocata alla loro altezza. Carmine e Celestina, i due protagonisti, sono due veri Eroi. Non si piangono mai addosso, risolvono i problemi, non si perdono d’animo, sono intraprendenti e spericolati... Come si dice a Napoli “tengono ‘a cazzimma”! Ma sono piccoli! In un mondo grande e difficile, dove il denaro e il potere dettano legge. La loro ferrea volontà, nonostante tutto, di avere una vita dignitosa e di essere felici è commovente ed emozionante. Non si può fare a meno di volergli bene! Questo film mi ha dato la possibilità di mettere a frutto una serie di esperienze fatte in questi anni: dal lavoro con i bambini, all’uso “poetico” degli effetti speciali (soprattutto per la ricostruzione di New York), all’impiego della musica in termini narrativi e non solo come commento (musica originale, ma anche canzoni d’epoca, napoletane e americane). La “reinvenzione” di New York, per cui abbiamo integrato scenografia e architetture reali con interventi al computer è quindi, come detto, una visione “soggettiva” e non oggettiva e realistica. Come dicono gli americani: “More than reality”. Soprattutto, in un momento come quello in cui stiamo vivendo, pervaso da egoismo, indifferenza, diffidenza, rabbia e addirittura odio, mi sembrava bello fare un film che parlasse di solidarietà, accoglienza, sogni e speranze e, in fin dei conti, di amore. E il fatto che un frammento d’arte cinematografica creato da due Maestri del passato, venga raccolto oggi da noi, eredi di quel Cinema, e fatto rivivere... lo trovo bello e, se mi permettete, commovente.
Gabriele Salvatores