Perché esplorare oggi il tema della guerra attraverso l’Iliade e le Troiane proprio all'interno di un carcere? E perché affidare queste riflessioni ai detenuti? La risposta sta nella possibilità di dare nuovo significato a vissuti tragici, cercando di comprendere il conflitto in modo autentico e consegnando a chi recita un’inedita chiave di lettura.
Parlare di guerra senza retorica, oggi, significa cercare modalità interpretative e spiegazioni che non si limitino a semplici slogan, ma che colpiscano al cuore del problema. Portare la "guerra" in un luogo in cui ogni persona vive la propria lotta quotidiana offre prospettive nuove, punti di vista originali e spunti di riflessione inediti. Usare i testi di Omero e di Euripide permette di aprire una "porta" interpretativa unica, attraverso cui i detenuti possono riflettere sul significato più ampio di ciò che comporta la guerra.
Parole come violenza, sopraffazione, vendetta, paura, pianto, disperazione, rabbia, amore perduto, nostalgia, vergogna, odio, perdita, vulnerabilità, dolore, onnipotenza, forza, fragilità, morte, disgrazia, sventura, ostilità, sottrazione, vulnerabilità, perdita crudeltà, compassione, coraggio, tradimento, distruzione, sangue gravitano attorno al concetto di guerra, e sono state il fulcro della nostra messa in scena. La guerra emerge come devastazione totale dell’individuo, un punto di non ritorno da cui l’uomo deve difendersi, cercando una via di riscatto che gli permetta di riconoscere la guerra per ciò che è: “miserabile, raccapricciante, dolorosa”. Nessuna vittoria vale la vita umana, nessun trionfo può compensare il dolore per le morti subite in nome di un qualche dominio. In questo senso, l’Iliade rappresenta una riflessione profonda sul destino comune di tutti gli esseri umani – la mortalità – e ci induce a considerare la tragicità delle vite perse per il potere e l’arroganza.
Bruno Bigoni e Francesca Lolli