Fondazione Fare Cinema
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Note di regia del cortometraggio "Drops"


Note di regia del cortometraggio
Il titolo nasce dall’idea che gocce di inconscio possono scavare dei crateri di verità, se solo li lasciamo uscire.
E in questo sono gocce identiche, per una volta, sia per il maschile che per il femminile; sono semplicemente due individui si incontrano.
Sono gocce che forse possono anche riuscire a fondersi se solo lasciano diluire quelle pillole di verità.
L’idea nasce mentre ero in scrittura del terzo libro. Parlavamo con la mia editor Feltrinelli di un libro americano che trattava proprio di questa qualità, soprattutto femminile, dell’essere educate ed essere sempre nicy, politically correct. Allora mi sono chiesta cosa succederebbe se improvvisamente questa dinamica si interrompesse? Se improvvisamente iniziasse a uscire quello che davvero pensiamo?
Poi poco prima di partire per l’America, dove sapevo che avrei girato 3 corti per la new york film accademy, è arrivato un sogno che raccontava in maniera metaforica proprio questo. E’ il caso di dire che Jung mi è venuto incontro.
C’era uno strumento, che adesso non cito e che vedrete, che improvvisamente fa uscire gocce di inconscio come in uno stream of consciousness. E allora ho tentato di raccontare cosa succederebbe agli equilibri, che tanto faticosamente e razionalmente creiamo, se improvvisamente uscissero, in maniera ingestibile e incontrollata, i nostri desideri e pensieri più profondi, vulnerabili e anche di ombra (per usare un termine vagamente junghiano).
Dal punto di vista del linguaggio, ho cercato di non subire la precarietà dei mezzi della situazione produttiva indipendente e di farne uno stile narrativo che si adattasse alla storia.
I personaggi non sono mai inquadrati totalmente ma ne andiamo a scoprire solo delle parti per finire in un piano a due in cui finalmente intravedono una parte un po’ più grande di loro stessi. Ma è sempre una parte del tutto che stanno cercando.
Quello che ho cercato di raccontare per via di metafora è la difficoltà di comunicare, di lasciar uscire le parti di noi più autentiche ma anche, razionalmente e socialmente, spesso, più scomode.
Credo nel corto come opera d’arte a se stante, come mezzo per ritagliare e comunicare, in via di metafora, una parte del reale in maniera satura. Ad Amsterdam dove mi trovavo per fare uno spettacolo e presentare i libri ho avuto modo di apprezzare due dipinti meravigliosi:
“La lattaia” di Vermeer, per esempio, o “La ronda di notte” di Rembrand. Possiamo dire che uno è un corto e uno è un lungo eppure eccelsi entrambi. Una parte di me vorrebbe continuare a fare corti ad libitum, perché credo nel corto come forma di arte a sè stante; una parte altra di me, che invece ha voglia di seguire altre storie, necessita di linguaggi che hanno un altro respiro, come ad esempio quello del documentario. Per ora sto continuando a seguire entrambe sempre con un’attenzione alla valorizzazione dell’autenticità del femminile e la ricerca della parte più nascosta e vulnerabile di quello che vado cercando.
Il documentario che segue le dinamiche di ricerca che ho sempre portato avanti da quando seguivo Ascanio Celestini, è un mezzo che mi sta trascinando molto e che in questo periodo storico anche di passaggio del nostro cinema e del gusto del nostro pubblico penso che ci possa dare delle grandi opportunità di espressione. Non è un caso se a Venezia questo anno ha vinto un documentario come Santo Gra. Cambiano i tempi, la temperatura del nostro tempo, le condizioni produttive con le quali ci traviamo a lavorare e soprattutto le storie e i modi che abbiamo bisogno di vedere sul grande schermo. Forse abbiamo bisogno di maggiore concretezza e il coraggio di guardare al presente con una spinta al futuro ma con molta pragmaticità. E’ per questo che anche i miei corti risentono di un realismo che cerco di apportare con estrema onestà.

Emanuela Mascherini