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Hugues Le Paige: "La sinistra italiana non
aspira a confrontarsi col suo passato"


Abbiamo intervistato il giornalista belga Hugues Le Paige, autore dell'interessante documentario "Il Fare Politica", che per oltre 20 anni (dal 1982 al 2004) segue la vita di 4 militanti toscani del PCI.


Hugues Le Paige:
Hugues Le Paige
Gentilissimo Sig. Le Paige, innanzitutto grazie per avere accettato questa intervista per CinemaItaliano.info. Siamo molto fieri di poterle rivolgere delle domande per il pubblico italiano. Comincerei con una curiosità. Come è venuto in contatto con i 4 personaggi di Mercatale?
Hugues Le Paige: Vivevo a Firenze nel 1976. Conoscendo il mio interesse per la politica italiana – all’epoca facevo il giornalista – un’amica comune mi ha presentato Carlo Giuntini che era allora segretario della sezione del Pci di Mercatale VP. Ci siamo trovati subito e siamo rimasti amici nonché in contatto a livello politico senza che avessi allora la benché minima idea di realizzare un film con lui e i suoi compagni.

Come è nata l'idea di filmare le vostre discussioni e all'inizio come pensava di utilizzare il materiale?
Hugues Le Paige: In seguito sarei divenuto corrispondente della radio-tv pubblica belga a Roma. E nel 1982 mi hanno domandato di realizzare un reportage sulla crisi – o almeno sulle domande fondamentali – del comunismo italiano. Anziché intervistare,come d’abitudine, i dirigenti, i politologi e altri specialisti, ho pensato che potesse essere interessante rendere conto del dibattito in corso – che verteva all’epoca sul colpo di stato in Polonia – a partire dall’esperienza di una sezione di base. E quindi ho naturalmente pensato agli amici di Mercatale. Ovviamente, quei dibattiti riguardavano già l’avvenire e l’esistenza stessa del comunismo. In tre volte i miei amici di Mercatale – tre uomini e una donna, come in “C’eravamo tanto amati”, mi hanno spesso fatto notare – sono stati dei testimoni privilegiati dell’evoluzione politica della sinistra italiana. Ma si trattava comunque ancora di semplici reportage.

Quando ha capito che poteva diventare un documentario?
Hugues Le Paige: Vero la metà degli anni 80, il mio lavoro s’era evoluto. Avevo abbandonato il giornalismo, che non mi sembrava più praticabile in televisione, e mi ero spostato verso il documentario. D’altra parte, poco a poco, nel corso delle discussioni con i miei amici, eravamo convenuti che sarebbe stato interessante proseguire queste riprese su tempi lunghi – senza darci scadenze – e di tirar fuori così una riflessione politica e cinematografica. All’inizio dei 90, l’idea del documentario è dunque matura. Le riprese andavano evidentemente modificandosi, dilatandosi in tempi lunghi e guadagnando continuità al di là degli specifici avvenimenti. Un primo film di sessanta minuti, coprodotto dalla Rtbf (tv pubblica belga), Art e da vari produttori indipendenti belgi (“Dérives production”, casa di produzione dei fratelli Dardenne) è stato completato nel 1992. Si basava evidentemente sulla fine del Pci e sulla crisi vissuta molto profondamente dai personaggi del film, gli amici e compagni di Mercatale. Ma la cosa più importante sotto il punto di vista documentaristico è che dopo questo primo passo abbiamo deciso di continuare a girare per poter carpire il seguito di questa evoluzione politica e personale. Una ripresa ogni due anni circa, a seconda degli avvenimenti nazionali o locali, sempre con gli stessi protagonisti.
Nel 2002, dopo lo sciopero generale, abbiamo deciso di mettere fine alle riprese. Avevamo il sentimento d’aver detto ciò che c’era da dire sull’evoluzione della sinistra (ciascuno dei protagonisti aveva ormai preso il proprio cammino) e che bisognava concludere alfine che il film stesso divenisse oggetto di dibattito. Nel 2004 ho realizzato un’ultima ripresa in condizioni assai differenti. Ciascuno dei quattro fu intervistato separatamente ma in un set unico per rivedere quei 22 anni trascorsi insieme ed analizzare le reazioni ad immagini filmate che non avevamo mai avuto modo di vedere assieme. Recuperando tutto il materiale sin dall’inizio (riversato successivamente in 16 mm e su differenti supporti) mi ci è voluto in seguito un anno di riflessione e di montaggio per tirar fuori questo film di 90 minuti, sostenuto in modo straordinario dai miei produttori che avevano accettato di essere coinvolti senza sapere esattamente quando mi sarei fermato.

Alla luce delle sue esperienze, che idea si è fatto del movimento comunista in Italia e perché secondo lei è stato così forte rispetto agli altri paesi dell'Europa occidentale?
Hugues Le Paige: Si diceva negli anni 70 che l’Italia era “il laboratorio politico d’Europa”. La presenza di un PCI forte e aperto, partito di massa e d’intellettuali, il suo ruolo in sostituzione di uno stato fragile, la sua presenza capillare sul territorio erano altrettanti elementi che attraevano la sinistra europea. L’eurocomunismo, di cui Enrico Berlinguer fu il portavoce più importante e più affascinante, era percepito come un’autentica chance per la sinistra europea. Senz’altro la matrice “gramsciana”, che ha ridotto l’influenza leninista e preservato dallo stalinismo, ha giocato un ruolo fondamentale.

Una delle domande del film è: "cosa può fare ancora la politica?". Come si sentirebbe di rispondere lei oggi a questa domanda e come avrebbe risposto 20 anni fa?
Hugues Le Paige: Resterei, credo, sulle definizioni che ne hanno dato Fabiana e Carlo, alla fine del film. Uno sguardo lucido ma pur sempre idealista.

Il suo documentario è un piccolo gioiello, capace di raccontare con grande realismo una fase politica e culturale che in Italia a distanza di venti anni è ancora fonte di divisioni e di interpretazioni ideologiche. Purtroppo questo suo documentario è ancora quasi sconosciuto in Italia, nonostante abbia partecipato a molti festival e sia stato trasmesso da molte televisioni europee. Perché secondo lei nessuna televisione italiana si è dimostrata interessata a mandarlo in onda?
Hugues Le Paige: Quel che c’è da discutere è la politica complessiva della tv italiana rispetto al documentario, o piuttosto l’assenza totale di una politica in questo campo. L’atteggiamento del servizio pubblico, che non rispetta alcuna delle sue missioni, mi sembra scandaloso. Ma non è una cosa nuova e c’è da constatare che in Italia, quale che sia la maggioranza politica, non cambia nulla. D’altra parte, credo che la sinistra italiana non aspiri davvero a confrontarsi col suo passato. E avrebbe tutto l’interesse a farlo se volesse ancora costruirsi un qualche futuro.

Negli anni '80 lei ha lavorato per diversi anni come inviato da Roma per la televisione belga RTBF. Nella sua esperienza di giornalista/inviato, quali sono gli aspetti dell'Italia che l'hanno più colpita?
Hugues Le Paige: Quell’epoca, a metà degli anni 70, era ancora segnata dallo sviluppo della sinistra e la prospettiva di una alternativa politica e sociale. Ma in seguito, effettivamente, ho vissuto anche l’epoca del terrorismo delle Br e delle altre sigle. È anche un periodo con cui la società italiana mi sembra avere difficoltà a fare i conti.

L'Italia è un paese in declino. Lo dicono la maggior parte degli indici economici a livello europeo. Non è un declino solo economico, ma anche sociale, culturale e soprattutto politico. Che idea si è fatto della fase storica che stiamo vivendo adesso in Italia?
Hugues Le Paige: Parlavo del laboratorio politico a proposito degli anni 70. Oggi si ha l’impressione che l’Italia sia il laboratorio della restaurazione e del regresso. Al di là dei risultati elettorali, la vittoria ideologica della destra sembra segnare profondamente la società italiana. Condivido le analisi di Nanni Moretti. Il berlusconismo sembra aver infranti tutti i tabu, a destra. Le recenti dichiarazioni di Alemanno o La Russa sul fascismo e la Rsi mi sembrano tipiche del clima che respirate. Ormai l’individualismo forsennato giustifica l’abbandono di ogni progetto collettivo. Ci vorrà tempo, molto tempo, energia e volontà per risalire la corrente.

Per concludere, una domanda sul cinema italiano. Quali sono i film italiani che ha più apprezzato negli ultimi anni?
Hugues Le Paige: Resto uno spettatore infaticabile dei classici del cinema italiano: Rossellini, Visconti, Pasolini, Fellini, Antonioni e Olmi incarnano l’eterna materia prima del mio amore per il cinema. “La strategia del ragno” di Bertolucci resta un momento eccezionale del vostro cinema. Oggi sono un fedelissimo di Moretti e vedo con fiducia Paolo Sorrentino. Il cinema documentaristico italiano offre grandi film. Penso a Gianfranco Rosi, “Below sea level” che abbiamo premiato a Venezia ma anche ai film di Gianfranco Pannone o di Alessandro Rossetto.

La ringraziamo per la sua disponibilità. In Italia avremmo bisogno di tanti osservatori fini come lei. Se ha qualche giovane allievo là nel Belgio ce lo mandi, che di materiale su cui lavorare qua in Italia ce n'è tantissimo!


Un grande ringraziamento va a Simone Cosimi, che ha tradotto l'intervista dal francese.

14/09/2008, 16:30

Daniele Baroncelli