Sinossi *:
La sera del 5 maggio 1972 un DC-8 dell'Alitalia in volo da Roma a Palermo, si schianta contro la Montagna Longa, nei pressi dell'aeroporto. Non resta nessun superstite. Il caso viene presto archiviato come un incidente. Tra i passeggeri c'è anche Franco Indovina, regista cinematografico in ascesa, famoso ai rotocalchi per la sua relazione con la principessa Soraya. Sua figlia Lorenza, attrice e regista del documentario, all'epoca aveva appena sei anni.
Quasi cinquant'anni dopo, alla fine di uno spettacolo in cui è in scena, Lorenza è avvicinata da un gruppo di parenti delle vittime: suo padre non è morto per un incidente ma per un attentato.
L'ossessiva ricerca di una verità migliore in cui credere coinvolge anche lei, ma più che le vicende giudiziarie a travolgerla saranno i ricordi che riemergeranno dall'oblio in cui li aveva relegati.

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Note:
APPROFONDIMENTI
Cinquant’anni e un unico rovello. Che la verità ufficiale fosse solo un frettoloso colpo di spugna per cancellare la memoria di una strage. Come spesso accade nel Paese che lascia infiniti conti aperti con la memoria, sono i dettagli a fare la differenza. Crepe nel muro che si vorrebbe granitico a difesa del non detto. E che con la caparbia tenacia di pochi e isolati resistenti, al contrario, si sbreccia, si incrina e potrebbe anche crollare, se solo si avesse la forza di fare i conti con il passato.
Cinque maggio 1972, Montagna Longa, il più grave disastro dell’aviazione civile italiana prima di Linate. Centoquindici vittime, 108 passeggeri e 7 donne e uomini di equipaggio, nello schianto del Dc 8 Alitalia, I Diwb, volo Az 112, sulla cresta di una montagna di 935 metri a cinque miglia tra Carini e l’aeroporto di Punta Raisi, oggi Falcone e Borsellino, Palermo.
Per le carte ufficiali - la sbrigativa relazione della commissione ministeriale (nominata dall’allora ministro dei Trasporti Oscar Luigi Scalfaro il 12 giugno ’72, il 27 aveva già concluso), la sentenza di Catania del 1984 di un processo senza colpevoli - Montagna Longa è un incidente, per un «verosimile» errore umano, di cui è però ignota la causa, la dinamica e, naturalmente, le responsabilità. Uccidendo così due volte il comandante Roberto Bartoli, il vice Bruno Dini e il tecnico motorista, anche lui brevettato, Gioacchino Di Fiore, attribuendogli, nell’impossibilità di difendersi, uno sbaglio indimostrato ma sufficiente a macchiarne la reputazione. E questo nonostante a poche ore dal disastro l’agenzia di stampa Reuters rilanciasse proprio l’ipotesi di attentato e numerosi testimoni giurassero che l’aereo volasse avvolto dalle fiamme prima dell’impatto. E che alcuni passeggeri non avessero le scarpe, che altri corpi fossero integri, che alcuni oggetti sembrassero divelti, che solo alcuni monconi del relitto fossero incendiati e che sull’area non sembrava essersi riversato tutto il carburante che l’aereo avrebbe dovuto contenere.
Stranezze, che perfino il generale Francesco Lino a capo della commissione ministeriale non aveva potuto nascondersi, ipotizzando «una situazione particolare determinatasi all’interno della cabina di pilotaggio per l’intervento di persone estranee oppure di una avaria». E infine che l’Anpac, l’associazione dei piloti, avesse categoricamente escluso colpe dell’equipaggio.
Non di errore si è trattato per molti dei parenti delle vittime, 98 orfani e 50 vedove che non si rassegnano. Perché di cose che non quadrano in questa sciagura che non sembra esserlo ce ne sono quante ne contiene una stanza di scartoffie. Quelle su cui adesso la commissione nazionale antimafia, sul finire della legislatura ha rimesso mano, provando a far ordine tra le piste ignorate dalla magistratura.

ESTRATTO DALL’ARTICOLO USCITO SU L’EPRESSO: “Montagna Longa: l’antimafia apre il dossier sulla strage aerea di 50 anni fa” di Enrico Bellavia.

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