Note di regia di "Call my agent Italia - Stagione 3"
Ho deciso di accettare la regia della terza stagione di Call My Agent - Italia per confrontarmi con qualcosa che sentivo vicino alle mie corde, una sfida nuova e imprevedibile, giocosa e colorata. Entrare in corsa in un progetto che è già stato pensato, ha una sua linea narrativa, linguistica e stilistica non è mai facile: bisogna farlo adottando un punto di vista nuovo, sicuramente personale, ma molto attento ai precedenti. Per sua natura, Call My Agent - Italia vive di una sorta di caos divertito, di scoppiettanti confronti tra gli attori, di movimento continuo, di coralità, di comicità e di un ritmo veloce che strizza spesso l’occhio ai tempi frenetici in cui viviamo. Per avvicinarmi a tutto questo ho scelto “l’ascolto”, soprattutto degli interpreti principali, degli agenti, diversi tra loro per provenienza, genere, età, storia, ma che a prima vista mi sono sembrati subito una grande famiglia affiatata e ben assemblata. È stato importante per me non imporre loro nulla, ma accompagnarli verso la mia visione rispetto al progetto, verso la mia sensibilità, mantenendo l’equilibrio con le prime due stagioni. Amo molto gli attori e amo farmi stupire da loro, e questa è una serie che più di altre vive delle loro capacità. Il mio obiettivo è stato quello di mettere i protagonisti – i nostri agenti – al centro del racconto per dargli più respiro, dando vita a una narrazione più continuativa lungo tutti i sei episodi della serie, rendendo le loro storie personali, le difficoltà, emotività, nevrosi, sogni e desideri maggiormente empatici per lo spettatore, per poi far entrare in maniera verticale le varie storie delle guest di puntata. Ho sempre adorato il metacinema, il cinema che si dichiara e che si mostra, che racconta ciò che non si vede, perché lo trovo una parte fondamentale e curiosa del nostro lavoro. In questa terza stagione siamo stati ogni volta che era possibile sui set, nei dietro le quinte, per poter raccontare la magia del mondo dello spettacolo e, perché no, le sue “nevrosi”, che alla fine sono un po’ quelle di tutti noi.
Simone Spada