Sinossi *: Un uomo, un attore. La storia che racconterà è quella di un uomo che dal mondo della normalità – un lavoro, una famiglia, delle amicizie – finirà per ritrovarsi sulla strada, con una panchina per letto, le scarpe sfondate, una vecchia giacca da smoking… Non conosceremo mai il vero nome dell’uomo, lui si fa chiamare Zorro, come il cucciolo di cane che un amico infedele gli aveva rubato da bambino. Il suo racconto è fatto di traumi e dolore, ma è anche intriso d’improvvisa e ruvida ironia. Zorro la notte balla e il giorno cammina, si mette sulla rotta delle persone “normali” (lui le chiama “cormorani”), li segue ma senza aggressività, ne smaschera le ipocrisie, gli automatismi affettivi, le insicurezze dissimulate provocando un corto circuito tragicomico tra il personaggio e il pubblico. E l’attore? Si, perché l’altro insospettabile clochard in questa storia è proprio l’attore, la cui vita assomiglia molto a quella di un viandante. Le parole di Zorro sono virali e come un virus: contageranno la psiche del protagonista, che ogni sera, città dopo città, teatro dopo teatro, racconta la storia. La storia del clochard, e del pubblico seduto in sala e dell’attore