FOREIGN OFFICE - "Cosa resta della Rivoluzione"
Tratto da un suo spettacolo teatrale, è scritto e diretto dall’attrice protagonista Judith Davis, la quale ci tiene a sottolineare che però il film, non è un semplice adattamento, ma un reale e forte desiderio di raccontare la sua esperienza di “erede” della mitica generazione dei sessantottini. Una generazione di genitori diversi, alternativi, ribelli e combattenti che grazie alle loro lotte e agli ideali comunisti (maoisti per la precisione), hanno stravolto la cultura e i modi di interpretare la realtà e la vita. Tutto è politica per un sessantottino d.o.c., la sua concezione dell’amore, della coppia, del lavoro, della lotta di classe e dell’idea del “posto fisso”.
Nella sua lotta per cambiare il mondo, infatti, un genitore che ha vissuto in prima fila le barricate del “maggio francese”, ha la visione della famiglia come valore borghese da distruggere, mentre gli ideali di impegno civile e politico sono al di sopra di tutto e vengono prima anche dei figli. Genitori che per cambiare le vecchie concezioni, hanno messo a repentaglio le unioni familiari pur di contrastare la concezione ipocrita di gruppo chiuso.
Judith Davis ha vissuto questa situazione, essendo figlia di genitori contestatori che le hanno inculcato quegli ideali e per questo ha voluto ideare una commedia ironica e tagliente, proprio per scrollarsi di dosso quella pesante eredità appiccicosa.
Ѐ la storia di Angèle, ragazza rabbiosa e fissata con gli ideali rivoluzionari, sola contro il resto del mondo, combatte contro un mostro, contro una civiltà ormai cambiata, schifosamente apolitica che non solo ha dimenticato quegli ideali, ma soprattutto ha dolorosamente scoperto quanto questi, seppur giusti, fossero limitati. Figlia di Diana (Mireille Perrier), una importante scrittrice sessantottina, icona della lotta politica, che non ha evitato di lasciare marito e figlie, pur di seguire i suoi ideali, la giovane Angèle vive ogni aspetto della sua vita con la bruciante ferita dell’abbandono da parte di sua madre, una ferita che le offusca la mente e che inaridisce il suo animo.
Geniale urbanista, ha un lavoro precario e sottopagato (perché si sa, le dicono quando la licenziano, il lavoro fisso sa troppo di borghese), eppure sarebbe un bel lavoro, perfetto per lei che cerca di rimediare agli orrori architettonici e alle brutture urbanistiche della città, con idee innovative e creative nel tentativo di ritornare alla natura, agli spazi verdi, ai quartieri a misura d’uomo e non il contrario. Purtroppo, la sua ferita interiore data dal fallimento della sua famiglia e dall’abbandono della madre, la rendono una furia indomita, con una rabbia incontrollata verso il sistema e verso il mondo intero, un integralismo politico che le impedisce di guardarsi intorno e di vivere i rapporti intimi con chiunque, dall’amato padre alla sorella, dall’amica del cuore al ragazzo che si innamora perdutamente di lei nonostante il suo carattere combattivo e irascibile.
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Cosa resta della Rivoluzione" ha molto poco della commedia, di cui ha solo una esilarante leggerezza e molto del racconto d’autore con tratti autobiografici che rispecchiano la voglia dell’autrice di liberarsi da un peso, da quella eredità scomoda e pesante di combattente ad oltranza.
Parecchie le idee simpatiche che l’autrice riesce ad infilare nel film, come quella del comitato di autocoscienza e di impegno civile, dove gli imbarazzati partecipanti, vengono messi di fronte a domande difficili e scomode come “tu in che cosa credi?”.
Toccante il finale, in cui finalmente la ragazza capisce quanto molto semplicemente sia l’amore, il naturale collante fra le persone, così come quanto l’abbandonarsi senza riserve ad un abbraccio, sia costruttivo e fondante per chiunque. Dopo una vita passata dalla parte della contestatrice a priori, Angèle impara anche a cercare il contatto con quelli che la circondano, apprezzando finalmente la meravigliosa potenza dei sentimenti.
19/08/2020, 01:00
Silvia Amadio