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LA TERRA DELLA SPERANZA - Gioventù e
malavita nel nuovo cinema italiano


Il mondo giovanile ed il cinema italiano. come viene trattato? Da Giovannesi a Albertini, passando per i fratelli D’innocenzo e Ciro D'Emilio, fino ad arrivare ad Agostino Ferrente.


LA TERRA DELLA SPERANZA - Gioventù e malavita nel nuovo cinema italiano
Una scena di "La Paranza dei Bambini"
All’ultimo Festival di Berlino, l’Italia è stata premiata per un’opera di grande valore cinematografico che si è distinta con l’Orso d’Argento alla sceneggiatura. A firmare il copione sono stati lo stesso regista, Claudio Giovannesi, reduce dal bellissimo "Fiore", Maurizio Braucci che, dopo "Gomorra", ha sceneggiato altri film importanti ("Anime Nere" di Munzi…), e l’autore del romanzo alla base del progetto, Roberto Saviano. Tuttavia, il premio a "La Paranza dei Bambini" dispiace a più livelli. Innanzitutto, perché ricompensa il suo aspetto peggiore. Poi perché perpetua l’immagine di una certa Italia che non si discosta dai soliti cliché. Infine perché viene ad occultare tutte quelle opere che hanno trattato lo stesso tema in modo più autentico, in particolare ottimi esordi, che si sono affacciati ai David di Donatello in corso.

Manuel, Antonio, Manolo e Mirko sono gli indimenticabili protagonisti di tre opere prime fra le più riuscite dell’ultima annata: "Manuel" di Dario Albertini, "Un Giorno all’Improvviso" di Ciro D’Emilio e "La Terra dell’Abbastanza" dei fratelli D’innocenzo. Se il primo è stato curiosamente dimenticato dalle nomination dei David, il secondo ha ottenuto una nomination ad Anna Foglietta come migliore attrice protagonista e "La Terra dell’Abbastanza" ben quattro candidature (regista esordiente, fotografia, sceneggiatura originale e produzione). Che sia in periferia di Roma o di Napoli, questi giovani propongono un profilo ben diverso dell’adolescente che si lascia tentare dalla vita facile proposto da troppo cinema italiano.

I due amici del film dei fratelli D’Innocenzo sopportano con gli affetti le loro esistenze non certo rosee. Ma il destino e il padre (fin troppo cinico) di Manolo hanno deciso che la criminalità era nel loro DNA. Tuttavia i registi trentenni filmano la prima uccisione commissionatagli, in campo lungo come un momento di infinito malessere in cui l’unico lato positivo è di aver compiuto un gesto estremo che li unisce ulteriormente. In La paranza dei bambini, il protagonista, ancora più giovane, sceglie lui di passare all’atto e lo fa da solo, con freddezza e determinazione, travestendosi da ragazza. E dopo lo spietato omicidio, versa soltanto una lacrima che gli disfa esteticamente il trucco.

I due piccoli eroi del quotidiano di "Manuel" e "Un Giorno all’Improvviso", vivono senza padre e si prendono cura della propria madre: il primo, 18 anni, è appena uscito da un istituto per minori e invece di gustarsi la libertà si adopera per permettere alla propria madre di ottenere gli arresti domiciliari. Antonio, 17 anni, si divide fra il lavoro, la dedizione per la madre in costante depressione e dipendente dal gioco e la sua passione per il calcio. Entrambi entrano in contatto con la micro-criminalità, ma passano oltre. Il loro impegno nel proteggere le loro madri è esemplare e le scene con gli assistenti sociali sono fra le più belle di questi film. Così come le poche scene di Manuel con la madre (Francesca Antonelli) e le numerose di Antonio con Anna Foglietta. Ma anche Mirko manifesta molta premura con sua madre interpretata da Milena Mancini, sempre bisognosa di cure per i suoi denti ma afflitta anche da un male ben più profondo. Nicola di La paranza dei bambini si occupa della sua giovane madre, anche lei sola, soltanto dandole soldi. E contrariamente alle altre che cercano di allontanare i figli dalla malavita, lei si fa da parte e offre la propria camera da letto come per inchinarsi di fronte al nuovo re del rione.

Insomma, il compiacimento con il quale i giovanissimi del film di Giovannesi si dedicano al gioco delle armi e all’arrampicata sociale grazie al crimine, anni luce dalla denuncia politica di "Gomorra", risulta molto fastidioso ed eticamente inaccettabile. Non a caso, Giovannesi paragona alcuni momenti del suo film ad un “western colorato”. Quello che mette a disaggio non è tanto lo speculare sui mali di Napoli dando un’immagine sbagliata o frammentaria della città ma lo strumentalizzare fatti così drammatici a fini spettacolari. Anche Edoardo De Angelis nel suo "Il Vizio della Speranza", non disdegna estetismi e stereotipi. Ma per lo meno finisce per sublimare la materia con il percorso stesso della protagonista fatto di redenzione e di fede in un futuro diverso. In "Nato a Casal di Principe", Bruno Oliviero ripercorre un fatto di cronaca di 30 anni fa in cui un ventenne, trasferitosi a Roma per fare l’attore, torna nella propria terra quando suo fratello viene rapito dalla camorra. Deciso a fare giustizia per supplire ad un’inchiesta latitante, rinuncerà a cedere alla cultura della violenza. Invece, i minorenni delinquenti della Paranza (ottimi attori) con il loro baby boss dalla faccia d’angelo si lanciano sui loro motorini/cavalli all’assalto del nemico assettati di vendetta, in una scena finale che non mancherà di fare emuli.

Sempre sui loro motorini, ma agli antipodi delle gesta agghiaccianti dei bambini, i sedicenni Alessandro e Pietro danno vita al documentario esemplare di Agostino Ferrente, "Selfie", selezionato anch’esso a Berlino ma nel Panorama. Il film intende raccontare il contesto nel quale si è consumata la tragica morte di Davide Bifolco, un ragazzo tranquillo ammazzato per errore da un carabiniere nel 2014. Ferrente decide quindi di dare la parola -e un cellulare- a due ragazzi dello stesso quartiere e della stessa età di Davide al momento del dramma. Tramite i loro selfie, raccontano le loro giornate: piccoli fatti significativi ma anche la loro amicizia e i loro sogni. Scrivono il film assieme all’autore appropriandosi sia della messa in scena che degli argomenti da affrontare (criminalità compresa). L’autoritratto dei due ragazzi possiede così la forza dell’autenticità e dell’urgenza. Il palpabile piacere nel filmarsi non toglie mai credibilità ai loro primi piani. Anzi, sottolinea la consapevolezza e l’accettazione della propria condizione e quindi, nonostante tutto, la vera speranza in un domani migliore.



P.S.: Quest’anno i David di Donatello potrebbero di nuovo premiare come migliore film un’opera prima… che non sarebbe una VERA opera prima. Dopo "A ciambra" di Jonas Carpignano l’anno scorso, potrebbe essere coronato lo struggente "Sulla mia pelle" di Alessio Cremonini. Ma, così, come Carpignano aveva già fatto un lungometraggio, "Mediterranea", Cremonini aveva già firmato "Border". Due film apprezzatissimi dalla critica che hanno fatto il giro del mondo dei festival ma non sono stati distribuiti in patria. Dove, come si sa, nessuno è profeta.

23/03/2019, 17:09

Alain Bichon