Dall’1 al 9 settembre a Milano il cinema di Jafar Panahi
Dall’1 al 9 settembre 2015 presso Spazio Oberdan di Milano, Fondazione Cineteca Italiana presenta
JAFAR PANAHI, retrospettiva di sei film di uno dei registi simbolo della Nouvelle Vague iraniana, coraggioso ambasciatore della libertà d’espressione e esempio vivente della forza sociale della Settima Arte.
Jafar Panahi nasce nel 1960 a Mianeh, cittadina del nord-ovest dell’Iran. Innamorato del proprio paese e delle sue contraddizioni, lavora come assistente del maestro Abbas Kiarostami, il quale scrive la sceneggiatura de "
Il palloncino bianco" (1995), film con cui Panahi esordisce alla regia e ottiene la Camera d’or al Festival di Cannes per la migliore opera prima. Sin dal primo film il regista dimostra di essere capace di raccontare storie di gente semplice come quella di Teheran, giocando pirandellianamente sul labile confine tra realtà e finzione. Esempio di questa tendenza sono film come "
Lo specchio" (1997), in cui la piccola protagonista del film a un certo punto si stanca delle riprese e comincia a vagare per la città, e "
Oro rosso" (2003) dove la parte principale, quella di un uomo disperato che ricorre alla violenza nel tentativo di migliorare la propria condizione, è interpretata da uno schizofrenico.
Panahi ottiene visibilità internazionale nel 2000, quando con "
Il cerchio" conquista il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia. Estremamente critico nei confronti del regime teocratico del proprio Paese, ne ridicolizza spesso i paradossi e gli assurdi divieti, come nel kafkiano "
Offside" (2006), storia di un gruppo di giovani donne confinate in una sezione dello stadio perché in Iran è vietato alle donne di assistere a partite di calcio. La parabola artistica di Panahi sembra giungere ad una brusca frenata nel 2010, quando il regista è arrestato con l’accusa di voler girare un film denigratorio nei confronti dell’appena rieletto presidente Mahmoud Ahmadinejad. Uscito dal carcere in seguito ad una sollevazione popolare da parte dei maggiori esponenti del mondo del cinema, viene messo ai domiciliari e gli è comunque interdetta la realizzazione di film per vent’anni, pena la reclusione. Ma la sete di cinema di Panahi lo porta ad eludere tali divieti, e a realizzare film in piena clandestinità, come nel caso di "
This Is Not a Film" (2011), giunto al Festival di Cannes in una chiavetta USB nascosta in una torta. Un esempio di come l’amore per il cinema spesso non conosca confini, e di come l’arte divenga strumento politico di affermazione della libertà individuale.
14/08/2015, 19:52