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Max Osini  (07/02/2006 @ 00:00)
Per essere un film italiano, questo lavoro di Faenza si segnala soprattutto per qualche respiro internazionale. Non che sia un capolavoro, intendiamoci, ma perlomeno la buona fotografia e i sottotitoli per i dialoghi in russo danno l'impressione di un tentativo di allargare i propri orizzonti ed evitare che l'italianità del prodotto traspaia fin dalle prime immagini. Apprezzabile è anche lo sforzo documentaristico che il regista ha sostenuto per molti anni prima di poter avere in mano tutte le tessere che gli consentissero di ricostruire la vita di Sabina Spielrein, paziente e in seguito amante dello psichiatra Carl Gustav Jung. Basata sulla corrispondenza privata tra Jung e Freud il film racconta di come Sabina sia stata la prima paziente affetta da isteria a venire curata con le tecniche del dialogo e delle libere associazioni. Una volta guarita Sabina è diventata a sua volta psicologa e ha dato vita in URSS all'asilo bianco, uno dei più ambiziosi e riusciti istituti pedagogici di quel paese, prima di venire uccisa dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Spartito tra i toni del melodramma, del documentario e della biografia, "Prendimi l'anima" trova proprio in questo desiderio di assoluto i suoi limiti principali. Il compito sarebbe stato arduo per chiunque, come ad esempio dimostrano i dialoghi, la cui banalità sembra spesso imposta dal desiderio dell'autore di restare aderente ai documenti ritrovati. Senza contare il fatto che la storia si svolge nell'arco di trent'anni particolarmente densi di avvenimenti storici per forza di cose irriconducibili ai tempi imposti dal mezzo cinematografico. Faenza riesce tuttavia a regalare momenti di buon cinema attraverso un uso attento dei propri collaboratori. Spiccano soprattutto la convincente fotografia di Maurizio Calvesi e la buona interpretazione di Emilia Fox nel ruolo della protagonista. Memorabile è inoltre la sequenza del ballo in manicomio, quando una dirompente Sabina trascina nella danza della Balalaika il compassato Jung sotto gli occhi esterefatti degli psichiatri da contenzione. Va segnalato infine come il professor Jung si discosti dall'immagine rigorosa che la storia della cultura psicoanalitica ci ha tramandato, ridotto a una dimensione umana nella quale anch'egli è preso dalle passioni e dalle turbe amorose.

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