Sinossi *: Default è un'opera sulla disillusione di un sistema arrivato a un punto di svolta. Un uomo, da solo, siede in mezzo alle macerie di una fabbrica abbandonata davanti a un telefono. La sua mano stringe la cornetta e la porta all'orecchio. A rispondergli è una serie di segreterie telefoniche, i cui toni metallici, come un filtro tra lo stato e i cittadini, lo convogliano in una sospensione vitale fatta soltanto di attesa. La sua richiesta d’ascolto è mediata da una sequenza di numeri, di voci registrate, di frasi impersonali che lo trascinano in un compulsivo carosello di informazioni e di pause. Sospeso in questo non-luogo, dove il tempo si dilata e il collasso della società appare imminente, l'uomo può solo aspettare una risposta che non arriverà. Sbagliare un tasto, un orario o una frase significa ripartire da zero. Nel loop di risposte preregistrate è sottesa la natura di uno stato che non è più capace di parlare ai cittadini, sempre più lontano, inadeguato, assente. Nella staticità del quadro sta la chiave di lettura di quest’opera che si regge sugli elementi simbolici introdotti dall’autore. Sotto le volte ecclesiastiche di una fabbrica di inizio ’900, si svolge una liturgia. Il telefono degli anni '60, emblema del boom economico, e il tavolo coperto di tela bianca a significare una mensa sacra sono gli oggetti rituali della celebrazione. La telefonata diviene un evento metafisico, come una preghiera a un’entità senza volto e senza nome della cui risposta non si può più essere certi. Ciò che gli stati chiamano default, dal punto di vista dei cittadini, è il vuoto di comunicazione in cui si risolve l’incapacità di rispettare le clausole del contratto sociale.