AGON - Dis-conosciamo lo sport e lo ri-incontriamo
Alla Settimana Internazionale della Critica, uno dei film migliori è italiano: in un incrocio tra documentario, finzione e video-arte,
Giulio Bertelli racconta lo sport dall'interno e dall'esterno, con piglio genuinamente sperimentale e sempre curioso.
Agon-ismo, una questione di vita o morte. L'esordiente Giulio Bertelli, classe '90, imprenditore e figlio di Miuccia Prada ma ciò non ci distragga dal suo talento, è partito dall'interesse per un evento del 1982, un incidente mortale durante un incontro di scherma, che ha cambiato per sempre le regole di sicurezza nelle pratiche e nelle competizioni di suddetto sport. Questo evento è rimesso in scena ai giorni nostri e alternato ad altri filoni relativi ai giochi olimpionici, nello specifico oltre alla spadaccina sono seguite altre due campionesse: una cecchina (tiro a segno con fucile) e una judoka, Alice Bellandi, l'unica a non essere interpretata da un'attrice ma da un'effettiva campionessa olimpica (le altre sono Sofija Zobina nel ruolo della cecchina, e Yile Yara Vianello, la protagonista di Corpo Celeste, nel ruolo della schermidora).
La macchina da presa negli occhi di Bertelli deve spostarsi su ogni cosa, concentrarsi su ogni possibile excursus, trovare le divagazioni e concentrazioni che descrivano al meglio il processo e le forme del racconto. Se la spadaccina ordina del pesce, ci dev'essere mostrato il dietro le quinte di una pescheria - se la judoka si appassiona a un videogioco, dobbiamo vederne degli estratti coi suoi occhi, senza filtri mediatori, totalmente entrando, ipnotizzati, in immagini digitali ormai reali come quelle attorno.
Forte del sound design di Massimo Mariani, collaboratore storico (e quasi co-regista sonoro) di Massimo D'Anolfi e Martina Parenti, AGON, ora in poche sale e presto su Mubi, è uno scorrere imperterrito di immagini soggettive e oggettive, un flusso di coscienza sempre costruttivo, nonostante l'impalcatura di senso (del montaggio) che dà l'illusione della decostruzione. Il regista, anche velista professionista, si è concentrato soprattutto su corpi, volti, posizioni delle atlete, che di solito si allenano in spazi asettici, svuotati dal pubblico e circondate da telecamere, come in lotta contro loro stesse.
Il tutto è ambientato nei giochi olimpionici fittizi di Ludoj, il cui logo è sia marchio/sponsor della gara con tutte le sue ipocrisie interne, sia punto d'arrivo delle allucinazioni delle campionesse, sempre lontane dalle loro mete e sempre ossessionate dal punto d'arrivo, al costo di chiudersi nelle loro visioni lisergiche piuttosto che guardare oltre a sé. Ludoj è una distopia, una città che già dal nome richiama il gioco, una sorta di società civile dello sport che reclama il sangue di chi, per mandare avanti i traguardi e i limiti dell'essere umano, è pronto a perdere qualsiasi cosa.
Ma Bertelli non eccede in giudizi moralistici e narrazioni plastiche, preferendo un approccio mediano e nel contempo anticonvenzionale, in simbiosi tra percorso finzionale e sguardo osservativo. Senza entrare in profondità della psiche umana o del rapporto col sé (e quindi: con l'immagine pubblica) delle proprie protagoniste,
AGON rimane sulle superfici materiali, mettendone in campo le possibilità, le incursioni e i vuoti; il film che ne esce fuori non è solo uno degli esordi alla regia più belli dell'anno, ma è anche probabilmente uno dei film più interessanti di genere sportivo - un'operazione concettuale quasi cubista sul nostro sguardo, che conosce l'immagine sportiva solo tramite dirette televisive o al massimo messinscene enfatiche. Con AGON dis-conosciamo lo sport e lo ri-incontriamo, da capo, come una creatura-chimera nuova.
11/09/2025, 15:05
Nicola Settis