RIGO DE RIGHI-ZOPPIS - "Re Granchio", la recensione
Con "
Re Granchio", anno 2019, la carriera comune di
Alessio Rigo De Righi e Matteo Zoppis giunge al capitolo terzo, il primo però - dopo una coppia di documentari, per quanto poco canonici - che li pone di fronte al cinema lungometraggio di finzione. Un passo importante e decisivo per completare la loro formazione, consapevoli che per gran parte del pubblico sarà questo il primo approccio con il loro cinema.
L'inizio potrebbe risultare spiazzante: in una storia di un secolo fa non ci si aspetta di essere introdotti da un gruppo di anziani cacciatori (Ercolino e i suoi amici, che si ritrovano in un casino di caccia nella campagna viterbese) che oggi intorno a un tavolo e accompagnati da molto alcol iniziano a rivangare la storia, o meglio solo alcune tracce, di un tal Luciano, che a fine Ottocento viveva in quelle terre e poi era dovuto fuggire.
Pezzi di ricordi attorno al tavolo si uniscono, qualche contraddizione c'è ma il racconto può partire: qui inizia il film vero e proprio, in cui però continueremo a vedere tutti quegli uomini nella veste di attori, in costume e pronti a tenere viva la narrazione.
Per chi ha visto
"Belva nera" e "Il Solengo", o anche solo uno dei due, lo straniamento è doppio: una sinossi che parla di tempi antichi e di viaggi (la seconda parte del film si sposta addirittura in Patagonia) ma un avvio di film che non si schioda dalla Tuscia e dai personaggi che hanno dato vita ai loro primi lavori. Ancora una volta, infatti, la storia parte con Ercolino, Giovanni, il casino e le loro storie, vere o presunte tali: un cinema che cresce, negli anni, ma restando ben saldo coi piedi per terra, sempre la stessa terra, quella di Vejano e dintorni.
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Ogni nuova storia raccontataci dai cacciatori aveva un respiro più ampio della precedente, ma allo stesso tempo molti meno dettagli", spiegano i registi. "
Abbiamo dovuto immaginare quasi tutto. Forse è per questo che abbiamo progressivamente abbandonato il documentario per la finzione".
Luciano (lo interpreta l'artista
Gabriele Silli) era un ubriacone ribelle, inviso al principe locale per il suo carattere e poco amato anche dal resto della comunità. Solo una ragazza (la
Maria Alexandra Lungu de "Le Meraviglie", volto e corpo quanto mai calzanti) sembra capirlo, ma la sua condotta sarà negativa anche per lei: l'esilio nella Terra del Fuoco per lui diventa l'unica scelta possibile, qui si metterà alla ricerca di un tesoro (forse) realmente esistente, ma dovrà farlo in compagnia di personaggi loschi e pronti a tutto, in un panorama tanto mozzafiato per la sua ampiezza e bellezza quanto ostico e temibile.
Basterebbero pochi fotogrammi del film per riconoscere il mondo di Zoppis e Rigo De Righi: oltre alle facce dei protagonisti, anche la squadra di lavoro si conferma (le musiche e i suoni quasi ipnotici di
Vittorio Giampietro, cui si aggiungono stavolta diversi canti popolari, il montaggio delicato di
Andres Pepe Estrada, la fotografia sbalorditiva di
Simone D'Arcangelo, ...) e l'ambientazione quasi western (che - spoiler - sarà anche del lavoro successivo) li rendono unici, familiari e già classici.
03/08/2025, 09:00
Carlo Griseri