QUEERKY - Ferrarotti: "Un'agenzia inclusiva che promuove talenti"
Nell'ampio panorama delle agenzie di talenti per il cinema dal 2022 ne esiste una che ha caratteristiche uniche: si chiama Queerky, è una realtà innovativa e rivoluzionaria, un’agenzia di scouting, rappresentazione e promozione di persone che nel talento riconoscono la propria sfumatura performante, un’agenzia inclusiva che punta a dar voce e rappresentare l’essere umano, purchè di talento. A fondarla è stata
Emma Ferrarotti.
Come nasce Queerky, da quale esigenza?
Lavoro nel settore da tantissimi anni, in agenzie più tradizionali e commerciali da cui mi sono allontanata: guardandomi attorno mi sono resa conto che non ci si poteva più basare su stereotipi degli anni Ottanta e Novanta, la società che ci circonda è completamente differente. Ho guardato all'estero la realtà di agenzie esistenti, ne ho trovate ma c'era un limite, erano monotematiche: c'è l'agenzia degli etnici, quella dei disabili... Queerky nasce invece per essere collante di tutta la società, a 360°: il minimo comune denominatore è uno solo, avere talento.
Tutto era nato da una cena con Valentina Bertani, la regista de “La timidezza delle chiome”: chiacchierando dei suoi due protagonisti mi diceva che sperava trovassero qualcuno che li potesse rappresentare senza sfruttarli, e del fatto che si sarebbe fidata di me. Ho iniziato a pensare a questo progetto, e ora siamo qui, il resto è storia.
Mi permetto una domanda da “avvocato del diavolo”: non è una ghettizzazione ulteriore?
La nostra non è un'agenza con il connotato della disabilità o della diversity, non è la sua caratteristica: noi rappresentiamo talenti, che si può manifestare in varie sfumature e in qualunque tipo di persone, al di là che siano di etnie differenti, abbiano disabilità fisica o mentale o qualsiasi altra apparente limitazione. Serve a chiunque un luogo in cui sentirsi degnamente rappresentati: non ci sono artisti che temono una ghettizzazione, ma anzi si sentono parte di qualcosa di più grande e sono felici di esserci.
Quali sono le difficoltà maggiori che incontri?
Far passare il messaggio che esistono artisti, al di là di quelli tradizionali, che possono avere uno spazio nel mondo pubblicitario, televisivo e cinematografico. Nella pubblicità la situazione è ancora difficile per ciò che riguarda l'estetica, c'è poco azzardo delle agenzie creative. Nel cinema vedo straordinaria apertura, mi arrivano numerosissimi casting e questo mi fa molto piacere.
Domanda apparentemente polemica: un attore o un'attrice non devono poter fare qualsiasi ruolo? C'è necessità di essere gay per fare un gay, o disabile per fare il disabile?
Certo, è verissimo che un attore deve essere in grado di poter fare qualsiasi ruolo, ma non è vero il contrario: se io ho attore disabile che ha studiato, potrà fare solo ruoli da disabile. E questo è importante, fino ad oggi l'assenza di una narrazione autentica è diventata lo specchio del ruolo, ora si sente la necessità che gli attori possano rappresentare la realtà.
Ma per ora ci deve essere sempre la richiesta specifica (che sia per un trans, una persona in carrozzina, una persona sorda o altro) per poter sperare di avere un ruolo per loro, è ancora impossibile che vengano selezionati per ruoli che non lo esplicitino nel copione. E ci sono molte volte in cui vengono inseriti solo per presunti obblighi del politicamente corretto, non per vere esigenze.
A farci ben sperare è la situazione delle persone di etnie diverse: iniziamo a vedere più varietà nei nostri film anche quando non necessario, i cast rispecchiano sempre più la multirazzialità della nostra società. Dieci anni fa non era così, magari tra dieci anni avremo situazioni migliori anche per le altre categorie sottorappresentate.
Per quali categorie sottorappresentate c'è ancora più da fare, secondo la tua esperienza?
Quelle con disabilità fisica, che è purtroppo anche un limite reale, di accessibilità soprattutto sui set. Ci sono lavori di grande interesse, come “La vita da grandi” di Greta Scarano, in cui sono stati scelti attori realmente nello spettro autistico, per la prima volta in Italia dopo “La timidezza delle chiome” si è osato usare attori con disabilità intellettiva.
Di cosa sei più fiera?
L'emozione più grande finora è stata il red carpet a Venezia con “La timidezza delle chiome”! I miei sforzi stavano andando nella direzione giusta, le lacrime sono state inevitabili.
Poi la presenza di Anna Lee Mossina in “Miss Fallaci”: lei è molto brava, molto giovane, strapromettente, punto moltissimo sul suo futuro. Ma anche Massimiliano Cutrera che abbiamo visto ne “Il conte di Montecristo”, la nuova versione girata anche a Torino, e molti altri.
Quali sfide devi affrontare in questo periodo per migliorare il tuo lavoro?
Aumentare il numero di persone che vogliono fare questo lavoro: sembra assurdo, ma se da domani ogni produzione volesse attori e attrici di categorie sottorappresentate, non ce ne sarebbero a sufficienza. Questo semplicemente perché la maggior parte delle volte chi ne fa parte non ci ha mai provato, non ha studiato né ha realmente tentato questa strada, consapevole che fosse una fatica inutile.
Ora le cose stanno cambiando, ma non basta essere in una categoria o nell'altra per avere spazio: bisogna avere talento e la giusta preparazione, nostro compito è anche quello, lavorare con le scuole e con talenti in erba da mettere sulla giusta strada.
27/05/2025, 12:37
Carlo Griseri