Note di regia di "In Perpetuo"
Sono da sempre affascinato dal rapporto tra uomo e natura, e ogni volta che mi ci sono confrontato ho notato che non si finisce mai di imparare. Osservando alcuni uomini che svolgono mestieri legati all’artigianato e alla natura, come ad esempio i pescatori, sono rimasto colpito dal fatto che la loro esperienza non può essere trasmessa grazie a testi scritti perché fortemente soggetta alla capacità di intuito umano e all’imprevedibilità degli elementi naturali e atmosferici. L’apprendimento può essere tramandato unicamente attraverso l’osservazione e l’ascolto delle persone più esperte, che li praticano da anni. I custodi di questi saperi diventano di conseguenza unicamente le persone, i loro gesti e soprattutto le loro parole.
Il documentario In perpetuo nasce con l’intento di interrogarsi e studiare questi custodi di memorie.
Qualche anno fa ho scoperto che sulla costa del Gargano sono rimasti solo in pochi a conoscere e a praticare una singolare tecnica di pesca, la pesca con il trabucco, e ho sentito subito il dovere di fare qualcosa per mantenere viva quella antica e affascinante memoria. Il trabucco garganico è un unicum. La struttura - composta da una pedana sorretta da grossi tronchi ancorati agli scogli, e da un intricato sistema di corde e argani - è un ammirabile prodotto dell’ingegno umano. La complessità nel manovrarli rende questa tipologia di pesca difficile da apprendere e per pochi. Se un tempo sostentavano intere famiglie con il loro pescato, oggi la maggior parte dei trabucchi è in stato di abbandono perché non più sostenibili a causa dei costi di manutenzione sempre più onerosi e il minor profitto.
Quando ho conosciuto i quattro personaggi che compongono il documentario - Giuseppino Antonio, Natale, Michele ognuno con le sue peculiarità caratteriali - mi sono reso conto dell’indispensabilità del progetto e dell’importanza di dare voce a questa fragile realtà, soprattutto in un mondo volubile come quello di oggi che tende a dimenticare velocemente. Sono entrato nel loro mondo lasciandomi trasportare dal lento ritmo di vita che scandisce le loro giornate fatte di pesca, di attese, e di interazioni famigliari, capendo che avrei dovuto utilizzare una troupe ridotta al fine di fornire una rappresentazione quanto più vicina al loro modo di percepire ed intendere la vita. La dedizione verso i loro trabucchi, l’umiltà e l’umanità di queste persone, mi hanno dato il modo di comporre un racconto che - attraverso quadri di vita reale fatti di gesti, parole e silenzi - vuole aprire alcune riflessioni sul rapporto tra passato, presente e futuro. Notando come questo mestiere sia tramandato rigorosamente in maniera famigliare di generazione in generazione, ho cercato di rappresentare quel sentimento che provano verso un passato che li lega ai loro avi e che ancora oggi risuona forte dentro di loro.
Il Gargano e gli elementi naturali da cui è composto scandiscono i passaggi spazio temporali che legano le storie dei quattro personaggi, diventando a tutti gli effetti un altro personaggio.
Ho deciso di posizionare la telecamera sempre a terra, fissa, dirigendola spesso verso l’orizzonte del mare per evocare quello sguardo del trabucchista che in quell’orizzonte sembra cercare le risposte al suo presente, in una costante incertezza sul futuro e sulla sopravvivenza di questi antichi macchinari. Quell’orizzonte che dall’alba dei tempi non ha mai cambiato il suo aspetto e unisce gli sguardi di tutte le epoche, nel documentario vuole aprire una riflessione sull’importanza della memoria oggi e su quanto il nostro passato sia importante per comprendere noi stessi.
Il titolo nasce ragionando sul concetto di ciclicità e più nello specifico pensando al significato della parola ‘perpetuo’ che è di per se nel mondo naturale un paradosso. Nulla che conosciamo è perpetuo tutto ha un inizio una evoluzione e una fine, dall’elemento più piccolo al più grande. In un immaginario poetico però è come se pensassimo che quando tutto inequivocabilmente scomparirà forse rimarrà solo quella voce del trabucchista che risuona come un’eco trasportata dal tempo per sempre, in perpetuo.
Federico Barassi