Note di regia di "Fratelli di Culla"
La mia casa di famiglia si trova a pochi metri dall'ex brefotrofio di Bari, l’istituto che accoglieva bambini non riconosciuti alla nascita provenienti da tutta la regione. La mia curiosità risale alla gioventù, quando osservavo quell’imponente struttura; alle sue spalle un’estesa pineta alla quale era impedito l’accesso.
Dopo anni trascorsi lontano dalla mia città, ho ritrovato quei luoghi ormai délabré, ma carichi di fascino. Approfondendo le vicende dell’istituto ho deciso di affrontare la sfida complessa di ricostruirne la storia: mentre le ex operatrici conservano una memoria vivida dell’epoca, gli ex ospiti, ormai adulti, faticano a ricostruire il proprio passato, troppo remoto per lasciare impronte consistenti. Rintracciarli non è stato facile. Grazie a un paziente lavoro di ricerca e agli appelli sui social e in TV, ho incontrato persone che, nel bisogno di ritrovare le proprie radici, hanno deciso di aiutare anche altri nella stessa condizione. La domanda che si pongono è sempre la stessa: sono nati da un atto d’amore? Il film racconta il sistema ben collaudato dei brefotrofi, in un’epoca in cui la società spingeva le famiglie a nascondere gravidanze fuori dal matrimonio. Ma esplora anche il presente, in cui le persone adottate combattono contro ostacoli burocratici per risalire alle proprie origini. A questo si intreccia il racconto sull’evoluzione della condizione femminile. Attraverso repertori d’epoca e testimonianze, il film si inserisce nel mio percorso documentaristico sulla società italiana del dopoguerra, fissando la memoria di un’epoca decisiva della nostra storia. Un filo comune lega questi racconti: il cortocircuito tra infanzia e anzianità, tra il passato da custodire e la necessità di comprenderlo. Se dovessi raccontare in una sola immagine il motivo per cui ho girato questo film, è il fatto che molte persone hanno scoperto di essere state adottate solo da adulte. Proprio per questo una sequenza del film propone anche una selezione di voci di altre, tra queste persone, che continuano disperatamente a lanciare appelli - oggi sfruttando i mezzi più moderni dei social - per cercare di capire da dove vengono, quali sono le loro origini biologiche. Considero questo documentario, oltre che un modo per riflettere su temi importanti della nostra storia recente, un vero e proprio strumento: per gli studiosi, per la memoria e per la nostra coscienza civile. Infine, voglio esprimere il mio sincero apprezzamento per il coraggio di chi ha voluto condividere il proprio racconto personale. Non è facile esporsi con tanta sincerità su un passato spesso doloroso, comunque complesso. Abbiamo scelto di raccontare chi, tra luci e ombre, ha fatto pace con la propria storia e ha trasformato la ricerca delle origini in un atto di gratitudine. Ad alcuni, la vita ha tolto la mamma “di pancia” ma ne ha donata un’altra, quella “di cuore”: la singolare circostanza di spegnere due volte all’anno le candeline sulla torta, qualcuno dei nostri protagonisti ha saputo farla diventare una risorsa per affrontare la vita.
Alessandro Piva