Note di regia di "RAQMAR"
Venivo da cinque anni spesi per scrivere e realizzare il libro e il film del mio ultimo Il delitto Mattarella. E, ancora oggi, anni dopo, sto continuando a girare per l’Italia, per scuole e cineclub, e due settimane fa l’onore di una proiezione alla Camera dei Deputati dopo quella al Parlamento Europeo: sia perché, per fortuna, i film storici ‘non scadono’, sia perché la rielezione di Sergio Mattarella (che è anche un personaggio del film) al Quirinale ha alimentato un costante interesse sulla storia, così tragica ma da non dimenticare, del fratello Piersanti. Ed ora sto lavorando ad un film con simili caratteristiche: sul Depistaggio Borsellino. Non dico altro.
Tra i due, Raqmar. Che non è affatto, invece, un film storico, non mi è costato una ricerca documentaria infinita ed è stata una sceneggiatura dura ma, anche per questo, irrimediabilmente lineare. È una storia che mescola lingue originali ed etnie lontanissime per cultura e stile di vita rispetto alla nostra ricca/privilegiata Europa, dove però viene ambientata la storia: con Genova che è indiscutibilmente ‘comodo’ ed ambito Occidente ma esattamente come potrebbe essere Amburgo, Lione, Glasgow, Barcellona... O, come nel reportage originale che mi ha spinto a scrivere Raqmar, a Ottawa e Toronto, Canada.
Ho visto negli ultimi anni numerosissimi film europei sul tema dell'immigrazione. Spero di essere intellettualmente onesto nel giudicare il soggetto di questo mio Raqmar in qualche misura originale rispetto alle tante opere da me visionate. Voglio credere, pertanto, di aver avuto la fortuna di incontrare questa triste e insieme (stranamente) vitale storia, e di poter realizzare un film che ne possa, spero, trasmettere, non solo una rappresentazione civile, ma anche un'emozione non superficiale.
Tanti anni fa, se ben ricordo durante un viaggio di lavoro in Australia, ho letto un reportage in inglese su un’azienda canadese che offriva, legalmente, ’scorta amicale ed emotiva’ a clienti esterni, offrendo ragazzi appena maggiorenni, provenienti da tutte le etnie del pianeta Terra, ben equipaggiati e istruiti sul da farsi. I clienti e le clienti d’alto rango potevano scegliere la compagnia di giovani africani, magrebini, orientali, sudamericani, e tanto altro, con tutti i colori e i lineamenti che il genere umano conosce.
I ragazzi venivano reclutati in tutte le aree terzomondiste del pianeta. Hanno accettato il contratto offertogli, sono stipendiati con un fisso equivalente a 6 volte lo stipendio di un insegnante nelle loro nazioni di origine (più gli extra e le generose mance), e ogni mese viene inviato alle loro famiglie rimaste sul posto un fisso equivalente a 4 volte lo stipendio, ancora, di un loro insegnante.
Il contratto dura due anni rinnovabili una sola volta. Al termine della collaborazione, se i ragazzi desiderano restare a vivere in Italia, l’azienda offre loro un permesso di residenza.
Hicham vive a Raqmar, un piccolo villaggio all’ingresso del Sahara, a due passi dal confine algerino
Il film racconta la sua storia, da Raqmar a Genova. Da una casa in terra senza finestre né riscaldamenti, ad un residence di lusso. Non giunge in Europa con barconi e torture libiche ma in un aereo in business class.
La prima parte del film è dunque ambientata nel desertico Marocco dell'Atlante.
Ho cercato una narrazione documentaristica, raccontando il villaggio alle soglie del deserto per come era, e per come sono i suoi bellissimi abitanti (sia maghrebini che berberi).
Ma anche la parte genovese ‘italiana’, la principale, è stata ugualmente raccontata con scene brevi (eccetto una: la prima ‘lezione’ di istruzione e avviamento, sic, al lavoro!) e fattuali, col protagonista Hicham dal carattere riservato, timido, tutt'altro che loquace, eppure, nei suoi silenzi e nei suoi sguardi, pronto a costruirsi una vita dignitosa superando le vergogna e l’umiliazione come se queste non esistessero mai. O no?
Ho contato molto sull'espressività di tutti i ragazzi di diverse etnie che hanno popolato questo mio film. Ho sempre creduto, e sempre crederò, che, come disse Nelson Mandela, la diversità sarà la nostra forza; la diversità genera sempre bellezza. E il razzismo resta un mostro covato dentro tutti noi.
So bene che anche questo mio film non conosce i crismi del lieto fine e produce, col suo stile ‘verghiano’, un senso di ineluttabile tristezza. Ma da spettatore e lettore di film e libri ho sempre trovato grande energia e passione da storie che mi hanno raccontato pezzi di realtà e umanità con sole franchezza e rigore. È proprio ai miei eterni maestri Verga, De Sica, Francesco Rosi, e il primo Pasolini, che devo la trazione per storie come questa di Raqmar, e per personaggi come questo mio Hicham.
Ma Raqmar vuole solo raccontare una storia: le parole contano ma ci sono anche molti silenzi o non-detti. Avevo comunicato al direttore della fotografia Luca Massa che desideravo che l’mdp rappresentasse l’occhio dello spettatore messo di fronte a fatti puri e chiari, senza commenti di chi racconta e senza prese di posizione preconcette. Fatti, volti, nella loro brutale evidenza. Come se davvero lo spettatore possa diventare un soggetto invisibile che assiste a tutto questo: da rendere con piani-sequenza e con pochi ciak semplici e non arzigogolati, dove la camera osserva ad una certa distanza - quasi fosse una ‘distanza di sicurezza’ - tutto quello che succede, e sentirsene, se non complice, però socialmente coinvolti.
Non so se mi sono spiegato. Ma le scene di interni, con i dialoghi radi e con Hicham che risponde così stringatamente alle domande di clienti e ‘datori di lavoro’ (con ostinata cortesia ma come chi preferirebbe tenersi tutto dentro) sono state girate con mdp mai ingombrante o vistosa e sempre ‘psicologicamente’ distante, come impenetrabile (io almeno ci ho provato), e offrire i fatti così come sono.
Vedremo.
Però per me, raccontare la storia di Hicham è stata un’occasione necessaria. Ho fatto tutto il possibile per poterci riuscire. E ringrazierò sempre Anna Marras, ed Edilizia Acrobatica, per averci creduto. E ovviamente tutti i ragazzi del film, e la troupe interamente ligure, e Giuliana De Sio, Leo Gullotta e Alessio Vassallo che ne fanno parte senza esserne protagonisti.
Aurelio Grimaldi