Come regista e come persona, tengo molto all’idea di preservare e portare nel mondo le tradizioni locali italiane, soprattutto perché queste tradizioni rischiano di essere soffocate dalla velocità del mondo contemporaneo. Trifole - Le radici dimenticate rappresenta il culmine di questo desiderio.
Volevo raccontare una storia umile, ma universale, utilizzando tecniche di regia tradizionali e un occhio nostalgico per sottolineare quanto sia profondamente necessario rispettare e conservare la natura e le proprie radici. Di conseguenza, ho trascorso due anni nelle Langhe raccogliendo storie di tartufai locali, agricoltori, nonni, insegnanti (in generale, con chiunque volesse parlare con me) e istituzioni. Da lì, ho condiviso con fervore queste storie con la mia co-sceneggiatrice, Ydalie Turk che vive in Sudafrica, e insieme abbiamo creato la struttura narrativa del film.
Dal punto di vista fotografico, abbiamo sposato uno stile di ripresa delicato, con pochi movimenti di camera, che esprimesse l'umiltà della narrazione e si concentrasse nel valorizzare luoghi, personaggi e dettagli. Ho voluto soffermarmi su inquadrature armoniose nel tentativo di catturare lo stile di vita poetico e pieno di passione dei cacciatori di tartufi, ma anche per garantire che i personaggi fossero sempre centrali. Le inquadrature e soprattutto i colori del film, si rifanno allo stile pittorico magico-realista Italiano.
Il rapporto tra i protagonisti (Dalia e Igor), è stato invece ispirato dal rapporto personale che avevo con mio nonno, malato di Parkinson e scomparso recentemente. La sua malattia ha impedito di comunicare tra di noi e dopo essermi trasferito negli Stati Uniti non ho potuto essere presente negli ultimi anni della sua vita e nel momento della sua morte. In un certo senso, questo film è un tentativo di esprimere il mio rammarico e di celebrare mio nonno sul grande schermo.
Per farlo, ho avuto la fortuna di lavorare con un cast di alto livello. Ydalie Turk, Umberto Orsini, Margherita Buy e Birba (un vero cane da tartufo) sono infatti il cuore del film. Sono estremamente grato per la loro incredibile devozione alla sceneggiatura e spero che questo traspaia in ogni inquadratura. È stato un grande onore per me lavorare con Umberto Orsini. Tutti sul set sono rimasti colpiti dal suo talento e dal suo approccio. Nonostante la sua ultradecennale esperienza ha mostrato la stessa curiosità di un attore alle prime armi, sempre desideroso di migliorarsi. Proprio come il suo personaggio Igor, che sente di essere stato dimenticato, Orsini, molto conosciuto nell'Italia degli anni '60 e '70, dopo essersi dedicato con grande successo al teatro, ha visto un'industria cinematografica che lo ha ingiustamente trascurato. Sono convinto che la sua commovente interpretazione porterà nuova luce alla sua carriera cinematografica, facendolo riscoprire anche al pubblico più giovane. Nel ruolo della protagonista abbiamo invece Ydalie Turk, una giovane attrice sudafricana al suo primo film. Ydalie Turk è una delle attrici più talentuose e generose che abbia mai incontrato. Dalia doveva apparire come una figura fragile, di altri tempi, insicura che nasconde però grandi passioni e coraggio. Ero sicuro che Ydalie sarebbe riuscita perfettamente a mostrare questi due aspetti contrastanti di Dalia. Ciò che però mi ha sorpreso di più, è stata la grazia e il sottile sentimento di nostalgia che Ydalie ha infuso in Dalia: questo permetterà al pubblico di entrare in empatia con un personaggio che inizialmente può sembrare passivo. La stessa grazia e leggerezza le ritroviamo in Margherita Buy, che è riuscita a instillarle nel suo non facile personaggio di madre single che ha deciso di lasciare le sue radici. Birba ha poi completato il quadro delle sorprese: chiunque, vedendo il film, non può che pensare che sia un cane addestrato, mentre in realtà è un vero cane da tartufo, ma con un evidente talento per la recitazione!
Durante le riprese, siamo stati accolti calorosamente dagli abitanti del posto. Molti di loro sono diventati parte del cast. È grazie a loro che il film ha il volto autentico delle Langhe. Non avremmo potuto fare questo film senza il loro entusiasmo e il loro amore.
Per quanto riguarda la post produzione, ho voluto dare particolare importanza al colore, al suono e alla musica. Volevo mettere in risalto le deliziose sfumature rosa delle Langhe. Abbiamo registrato tutto il suono e il foley in loco perché era importante mantenere con precisione i suoni della regione, dei boschi e della natura. Riguardo alla musica, la mia parte preferita, ho scelto temi classici di Respighi, Borodin e Rachmaninoff. Ho inoltre avuto la preziosa opportunità di far arrangiare, eseguire e registrare la colonna sonora dall’Orchestra Sinfonica Bartolomeo Bruni (anche loro piemontesi). Usare temi classici, registrandoli dal vivo con un'orchestra locale, mi è sembrata la soluzione perfetta per incarnare lo spirito e i valori del film.
Gabriele Fabbro