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VENEZIA 81 - "Il tempo che ci vuole parla di un padre e una figlia"


La regista, con i suoi protagonisti, ha presentato a Venezia il film dedicato al suo rapporto con il padre Luigi


VENEZIA 81 -
Un film molto personale quello che la regista Francesca Comencini ha portato, fuori concorso, alla Mostra del cinema di Venezia: ne "Il tempo che ci vuole" racconta una parte importante del suo rapporto con il padre Luigi, affidando il suo ruolo e quello del grande autore del nostro cinema a Romana Maggiora Vergano e Fabrizio Gifuni.

"Il film - spiega la regista - si basa sulla memoria, su ricordi che ho vissuto, ci sono elementi reali ma anche il sogno. Ho voluto da subito mantenere il carattere universale del rapporto padre-figlia, che secondo me è affrontato troppo poco nel cinema e invece è fondante per chiunque. Spero che il film comunichi al di là della mia vita".

"Non mi sono mai chiesta se sarebbe piaciuto a mio padre questo film, sarebbe stato paralizzante", aggiunge Comencini. "E' un omaggio a modo mio, sono contenta che così si parli di nuovo di lei: dopo i 60 anni mi sono sentita matura a sufficienza per farlo, era da tanto che ci pensavo. In questo modo lo ricordo e lo ringrazio di quanto ha fatto per me. Ho condiviso ogni passaggio della scrittura del film con le mie sorelle, ho sempre sentito il loro sostegno e la loro vicinanza anche se poi nel film i loro personaggi non ci sono, ci siamo solo io e mio padre".

Fabrizio Gifuni sottolinea "la capacità straordinaria di Francesca di comunicarci come questa storia così personale dovesse diventare universale, siamo così stati liberi dai fantasmi. E' stata una sorta di atto psicomagico, eravamo in una bolla di non luogo, non tempo, non spazio, che è quello delle fiabe".

"Ci tenevo ardentemente a fare questo film", spiega Romana Maggiora Vergano. "Per me è stato un grande onore avere la parte, mi ha colpito che non ci fosse mai scritto in sceneggiatura nei dialoghi Luigi e Francesca ma sempre Padre e Figlia, ci ha aiutato molto. Un tema forte del film è il concetto del fallimento, che non deve essere visto come un problema ma come stimolo a provare ancora e fallire meglio: la mia generazione, i ventenni di oggi, vivono un senso di inadeguatezza costante, spero che in tanti lo vedano per capire che non è un problema non essere perfetti, anzi".

07/09/2024, 09:46

Carlo Griseri