Un padre e una figlia, un regista e una bambina, un uomo e una donna: "
Il tempo che ci vuole" racconta diverse fasi del rapporto tra la sua autrice,
Francesca Comencini, e il padre
Luigi, concentrandosi su tre fasi in particolare - l'infanzia magica sul set di "Pinocchio", l'adolescenza difficile con la tentazione delle droghe e un dialogo sempre più rado, l'inizio del percorso sui set della donna - e fissa lo sguardo in modo potente ed efficace solo su quelle due figure.
Luigi e Francesca: non esistono altre persone tra loro (né una madre, né fratelli e sorelle, né altri: indagare sulla vera biografia della famiglia Comencini può essere curioso ma è sterile nella lettura di come il film è costruito), non esistono quasi neanche oggetti tra loro (una casa spoglia, la loro, escludendo i tanti libri dello studio paterno) né quasi esistono (non per lui, sicuramente) momenti diversi dal loro stare insieme o dai set.
Erano gli anni Settanta: c'era chi piangeva e chi applaudiva per il rapimento Moro, ci si divideva sempre più tra generazioni che faticavano a capirsi (nel doppio significato: capirsi tra loro, certo, ma - soprattutto per la più giovane - anche a capire sé stessa), si credeva nell'importanza del cinema ma solo "dopo la vita". Una pagina profondamente personale, quella che la regista mette in scena, ma che è anche specchio di un momento storico (e non solo) comune a tante famiglie.
Fabrizio Gifuni convince ma non eccelle in un ruolo non semplice, soprattutto nel confronto con
Romana Maggiora Vergano, capace di risultare perfetta nel lento declino e nella successiva ripresa del suo personaggio (non solo la difficoltà di una donna realmente esistita e vivente, ma anche di avere quella donna come regista!), sempre puntuale e capace di far arrivare tutte le sue emozioni (è solo poco credibile come studentessa di liceo, ma è peccato veniale).
Altra grande "protagonista" del film è la casa in cui i Comencini sono cresciuti insieme, o ancor meglio sarebbe dire il lungo
corridoio che unisce (e separa) gli spazi in cui padre e figlia vivono. Raramente qualche metro quadrato di abitazione al cinema ha trasmesso così tanto (freddezza, paura, affetto, incomunicabilità...), e il merito è sicuramente anche del direttore della fotografia,
Luca Bigazzi.
06/09/2024, 23:20
Carlo Griseri