Note di regia di "Le Belle Estati"


Note di regia di
Il film è concepito come un gioco di specchi tra le belle estati dei giovani dei due romanzi e quelle degli studenti e studentesse che hanno partecipato alla realizzazione; è anche la verifica di quanto i giovani possano percepire vicine e attuali queste tematiche, a distanza di oltre settant’anni dalla loro scrittura e di circa quaranta dalle mie letture giovanili di Pavese.
Dapprima abbiamo chiesto agli studenti di apprendere i temi, gli elementi della scrittura di Pavese; soprattutto i personaggi, le situazioni, per farle proprie. Buona parte del film racconta proprio questo atto di appropriazione delle figure, dei dialoghi e dei temi dei due romanzi, operazione elaborata insieme al loro insegnante di lettere, Rossano Baronciani, con il quale è stata delineata la drammaturgia; sono stati circa tre mesi di letture e discussioni pomeridiane, sui banchi di scuola: le fondamenta orali del film, su cui poi innestare il resto del racconto visivo. Dopodiché, consapevoli di questo percorso, ho chiesto loro di portare queste figure e situazioni, se possibile anche questi dialoghi, nella loro vita, nel loro quotidiano, nei laboratori e al di fuori della scuola. Infine li ho portati a raccontare questo sentimento non più attraverso il testo, ma mediante i loro sguardi: fare propri i temi pavesiani ed elaborarli attraverso gli occhi e non più attraverso le parole. In questo modo sono nate alcune sequenze che considero tra le più intense del film, come quelle delle camerette delle studentesse viste in prima persona, oppure quella in cui vengono raccolti i ricordi d'infanzia degli studenti, i luoghi della loro fanciullezza; ho chiesto loro di tornare a visitarli, magari dopo anni, e di raccontarli con quello spirito con cui Pavese racconta i luoghi dell'infanzia che tutti noi abbiamo nel cuore, i nostri nidi di gioventù nei quali trovare poi possibili aperture, cancelli che possano aprirsi verso il futuro.
Per questi motivi reputo il film non una finzione, una ri-messa in scena di due romanzi di Pavese, bensì un documentario: il documento, direi con più precisione, del farsi stesso del film (motivo per cui gli studenti leggono il libro di Pavese, non lo recitano).
Il progetto è stato anche occasione di riflessione comune su quali strade debba percorrere oggi un cinema che possa definirsi contemporaneo. La mia proposta è stata quella di un cinema capace di riflettere su sé stesso, smascherando l’atto della sua creazione, il suo farsi: ne è nato un gioco piacevole, tra il credere alla finzione e lo svelarne continuamente le sue fragilità, dando priorità all’evidenza del reale.