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DARIO ARGENTO E LA TV - Il saggio di Marco Chiani


Il Maestro dell'horror italiano analizzato per la prima volta, in un modo inusuale, nel saggio "Dario Argento e la televisione" dal giornalista e critico cinematografico.


DARIO ARGENTO E LA TV - Il saggio di Marco Chiani
Dario Argento con il Premio Bianchi 2020
Nell'immaginario filmico per tutti Dario Argento è sinonimo di cinema horror "italico": evocativo di pellicole di "paura", di "specchi", di "bambole meccaniche parlanti", di musiche dei "Goblin". A chi il suo nome non fa pensare, in maniera quasi del tutto automatica, alla scena finale degli specchi-quadri di "Profondo Rosso"? Al volto di Clara Calamai e a quella sua collana che, dopo poche sequenze, reciderà il suo collo?

Nel saggio "Dario Argento e la televisione", versione aggiornata dei due capitoli conclusivi della tesi di laurea "Gli incubi postmoderni di Dario Argento", il giornalista e critico cinematografico analizza, con un stile tra il sobrio e l'ironico, la produzione televisiva e pubblicitaria del regista, in particolare di quella lanciata con "La porta sul buio", una serie di quattro telefilm prodotti e diretti da Dario Argento per la Rai del 1972 e mandati in onda a partire dal 1973 nella televisione generalista in pieno clima di piombo tale da rendere il regista "un pioniere della storia della TV italiana e un demiurgo di altre strategie della tensione".

"A fronte di una ormai ingovernabile bibliografia argentiana, con il bel volume che avete in mano, Chiani riesce a colmare un vuoto: un saggio a 360 gradi" così scrive Franco Pezzini nella sua introduzione al saggio e noi di Cinemaitaliano abbiamo intervistato l'autore, Marco Chiani.

Come nasce l'idea di realizzare un libro su Dario Argento e, in particolare, sul rapporto del regista con la televisione?

"Prima di altro, La televisione di Dario Argento nasce da una passione personale. Lavorando ai vari materiali, poi, l'obiettivo che mi sono prefissato è stato quello di colmare una zona critica per certi versi ancora oscura della produzione del regista con il fine di restituirgli ciò che gli spetta, proprio adesso che il piccolo schermo sembra avere la forza di tracciare le traiettorie future anche per il grande. Quanto l'impresa di raccontare e analizzare in maniera puntuale la produzione televisiva e pubblicitaria di Argento sia inedita è confermato anche dalle discordanze - nelle interviste presenti nel libro - tra quanto dichiarato o magari dimenticato, sempre in buona fede e considerati gli anni trascorsi, dallo stesso Dario Argento, da Luigi Cozzi o da Lamberto Bava e quanto emerso dalle fonti a stampa che hanno trattato l’argomento il più delle volte in via soltanto incidentale. In un momento in cui le fortune critiche del regista sembrano vacillare, può giovare mettere nero su bianco il ruolo di pioniere che Argento è riuscito a ritagliarsi nella storia della televisione italiana, a partire dal fondamentale La porta sul buio fino a Ti piace Hitchcock? passando per Giallo - La tua impronta del venerdì. O ancora in un contesto differente e altamente competitivo qual è stato quello di Masters of Horror, dove i suoi episodi emergono come i migliori del lotto - assieme soltanto ai lavori di John Carpenter e Joe Dante - inaugurando di fatto una fase della carriera più efferata e diretta nella volontà di andare dritto al sodo".

Quale regista italiano si avvicina maggiormente allo stile del Maestro?

"Argento ha sempre prodotto un cinema in prima persona, unico, in certo modo, volutamente solitario. Ma è possibile parlare di solitudine del mondo argentiano soltanto dal Duemila in avanti, in quanto risulta difficilmente negabile, almeno per i due decenni precedenti, l'esistenza di una vera e propria Factory Argento, venutasi a creare proprio intorno alle occasioni televisive: è il caso delle collaborazioni con Luigi Cozzi e Lamberto Bava o, al cinema, ancora con Bava Jr., Michele Soavi, Sergio Stivaletti e Asia Argento. Sebbene Dèmoni, La chiesa o la serie televisiva Turno di notte risultino del tutto omogenei alle filmografie dei loro registi, racchiudono tuttavia un quid, un vero e proprio “fattore argentiano” difficile da descrivere e ancora di più da isolare nello specifico, ben al di là del nome sulla locandina scritto in un font più grande di quello del cineasta firmatario per evidenti scopi commerciali. Se il metodo Argento non si presta ad essere appreso, chi si è misurato con la prova è finito col fare soltanto film à la manière de. Per rispondere alla tua domanda, ad ogni modo, penso che sia possibile trovare lo spirito che anima il suo cinema in altri generi o in paesi diversi dal nostro, pensiamo soltanto al caso di Luca Guadagnino e del suo Suspiria, a Saverio Costanzo con il notevole La solitudine dei numeri primi o a certe cose di Nicolas Winding Refn. Legato ad un'artigianalità di cui l'utilizzo del proprio corpo (le mani, la voce) non è soltanto la classica punta dell'iceberg, il fare cinema di Argento conferma, in definitiva, la ricerca di un'autarchia che negli ultimi due decenni ha portato con sé cancellazioni e ritardi in termini di produzione dei nuovi progetti, le traversie di un Giallo o le notizie che si rincorrono ormai da anni sul fantomatico Sandman con Iggy Pop parlano da sé".

03/01/2022, 19:03

Alessandra Alfonsi