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TORINO FILM FESTIVAL 39 - "Quattordici giorni"


Il film di Ivan Cotroneo, da lui scritto insieme a Monica Rametta, è interpretato da Thomas Trabacchi e Carlotta Natoli


TORINO FILM FESTIVAL 39 -
In questi ultimi due anni abbiamo imparato a capire quanto la casa possa essere sì un rifugio, ma anche una prigione. Non poter uscire ci ha obbligati a vivere situazioni che non avremmo mai scelto di sperimentare e il risultato di queste esperienze spesso ci ha sorpresi.

Cosa può accadere ad una coppia in procinto di separarsi (lui ha un'amante che sta per raggiungere) se si trova costretta insieme ancora per quattordici giorni? Sappiamo bene quanto i tempi ormai noti della quarantena possano sembrare lunghissimi, ma passarli recriminando e accusando, sentendosi accusati, ha il sapore dell'incubo.

Ivan Cotroneo e Monica Rametta (sceneggiatori la cui intesa perfetta si esprime ormai da tempo) con "Quattordici giorni" ci regalano un gioiello. Una pietra preziosa il cui unico ‘difetto’ può essere la mancanza di imperfezioni, con dialoghi dove pensiero ed eloquio sono sempre brillanti ed efficaci (ma quale difetto …). In un testo scandito da quattordici capitoli riescono a riprodurre con equilibrio, acume e sensibilità, con un ritmo fatto di pieni e vuoti bene dosati, le dinamiche altalenanti che si generano tra chi è combattuto e non ha la possibilità di scegliere la via più facile: la fuga. Un testo che messo nelle mani (nei corpi, nelle voci, negli sguardi, negli sguardi... negli sguardi!) di una coppia di attori come Carlotta Natoli e Thomas Trabacchi (coppia anche nella vita) diventa un'esperienza unica da vedere; un’esperienza, un’emozione, che rimane nella pelle come ad averla vissuta in prima persona insieme a loro.

"La vita è complessa, piena di sfumature" dice la protagonista Marta al protagonista Lorenzo; e c'è bisogno di tempo e di intimità per capirla almeno un po', suggeriscono gli sceneggiatori. Marta e Lorenzo hanno bisogno di tempo. Marta e Lorenzo hanno bisogno di intimità.

Ma "Quattordici giorni" non sarebbe quello che è senza un altro protagonista, fondamentale: lo spazio in cui la coppia si muove. L'appartamento ideato cromaticamente sul dualismo arancio/grigio scuro ripete gli estremi (caldo/freddo) tra i quali si dibatte la coppia e ha una disposizione quasi 'emotiva' delle stanze: la ‘zona accoglienza’ della casa (ingresso, salotto, salottino) è molto spaziosa, mentre le parti della ‘zona intima’ (cucina, bagno, ma soprattutto camera da letto) sono insolitamente piccole. Ed è proprio la mancanza di intimità, confidenza, sincerità che si rivela essere il punto critico sul quale si sviluppa il confronto serrato. Proprio nelle zone intime si svolgono i dialoghi chiave che rappresentano sempre piccole svolte dalle quali non si torna indietro.

Limitati dall'unità di spazio, il regista Cotroneo e la sua squadra usano così ogni strumento (non dimentichiamo i colori degli abiti, la fotografia dove il ruolo della luce si evolve, i piani di ripresa sempre più ristretti) per accompagnare anche visivamente le dinamiche interiori della coppia con un processo che lavora sull'inconscio.

E per concentrarsi sulle parole (dette e non dette) si rinuncia ai suoni.

01/12/2021, 21:34

Sara Galignano