Un altro giornalismo è possibile. Un giornalismo che sappia ragionare prima di essere diffuso, che offra ai suoi fruitori i mezzi e gli strumenti per capire, per approfondire, per far sue le notizie imparando a filtrare il giornalismo "cattivo" da quello "buono". Questo, in estrema e brutale sintesi, potrebbe essere il senso di "
Slow News", documentario diretto da
Alberto Puliafito, e di Slow News, progetto editoriale fondato dallo stesso Puliafito e da un gruppo di colleghi anni fa per mettere in pratica le stesse idee.
Troll, fake news, post-verità, controllo delle masse, populismo, fact checking: sono solo alcune delle parole e dei temi analizzati nel documentario, che ha al suo centro le teorie di
Peter Laufer, guru del giornalismo "slow". Teorie in cui, ad esempio, definisce la "dopamina del
what's next" che assoggetta (quasi) ogni fruitore di notizie, rendendolo uno "news junkie", un "drogato di aggiornamenti" alla ricerca continua di novità online senza richiedere approfondimenti (e senza verificare le sue fonti). Che non esisterebbe, a pensarci bene, senza il giornalista moderno, chiamato dal sistema in cui opera a pubblicare per primo e cercare sensazionalismo per avere - essenzialmente - più "click" possibili al suo link. Senza pensare troppo alla deontologia.
Sicuramente pensato per gli addetti ai lavori, "
Slow News" (il documentario) è un lavoro estremamente ben curato, montato e condotto. Ma è un lavoro che tutti dovrebbero guardare, quantomeno per aumentare la propria consapevolezza di lettori.
Tanti concetti, per quanto in parte ripetuti (in più modi e in più lingue) per essere meglio assimilati. L'unico difetto del documentario "
Slow News" è forse proprio quello di essere troppo denso: in 90 minuti circa lo spettatore assiste a viaggi intorno al mondo, presentazioni di teorie e di modelli di lavoro, percorsi tra le redazioni dei più illuminati esempi del settore (c'è anche l'Italia a far bella presenza, tra Internazionale, Valigia Blu e Pagella Politica...), incontrando teorici e tecnici, giornalisti e lettori. Tanto, tantissimo. Forse pure troppo: ma l'argomento è centrale per le società che stiamo vivendo e che vivremo, quindi è una pecca che si può certamente perdonare.
26/05/2020, 09:00
Carlo Griseri