Micaela Ramazzotti e Alessandro Gassmann
Film di genere? Forse… Magari.
Una Storia senza Nome prova ad essere un crime, ma partendo da un’idea indovinata si perde quando, per evitare di essere troppo crime, devia su altre vie come a voler mostrare che la forza di noi italiani è che non ci prendiamo troppo sul serio. Genere sì, ma come diciamo noi.
E il limite di un film anche ricco, di budget, di cast e di struttura produttiva è non ci crede neanche il regista.
E allora tutto finisce in un calderone tra Don Matteo e le sue inchieste all’acqua santa, l’Ispettore Barnaby e i delitti nella pacata campagna inglese, la mafia
palemmitana, i cinematografari e i politici corrotti. Per cercare di imboccare una strada precisa le imbocca tutte senza approfondirne nessuna.
Il cinema nel cinema poi finisce per essere sempre una macchietta, una replica goffa del proprio mondo fatta di produttori cialtroni a caccia di dollari (anche sporchi), sceneggiatori fannulloni e incapaci (anzi no, qui sembra tutto vero…), segretarie nell’ombra che dimostrano di essere molto di più (anche esteticamente) di quello per cui vengono utilizzate, registi un po’ artisti un po’ cialtroni (Skolimowski sembra Rupert Sciamenna di Maccio Capatonda) che danno ordini a caso gridando sul set.
Mi ci deve far credere, per essere avvincete una storia criminale, mi ci deve far credere. "
Una Storia senza Nome" di
Roberto Andò ci prova in tutti i modi, cercando un racconto innovativo ma andando a sbattere contro il muro della credibilità. Ma del resto se non ci crede il regista perché dovremmo crederci noi?
08/09/2018, 00:10
Stefano Amadio