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BFM36 - Panarello: "Io e lo scacciapensieri"


Intervista al regista dell'unico lavoro italiano in concorso al Bergamo Film Meeting, "Lo strano suono della felicità"


BFM36 - Panarello:
Diego P. Panarello
A Diego Pascal Panarello non pesa il ruolo di "unico italiano" in gara, anche perché il suo documentario "Lo strano suono della felicità" è ormai in viaggio e dopo Lipsia e l'anteprima italiana di questi giorni al Bergamo Film Meeting lo porterà a Copenaghen e poi ancora più in là. Un lavoro frutto di anni di sforzi, per cui è stato necessario un crowdfunding e una co-produzione internazionale.

"Stavo perdendo credibilità con i miei amici, dopo anni che gli dicevo che stavo lavorando al progetto sullo scacciapensieri non vedevano uscire nulla e non mi credevano più...", racconta sorridendo. "Una delle gioie più grandi di questi mesi è stata proprio la voce di uno di loro, che dopo aver visto il film finito mi ha detto: <Finalmente ho capito perché hai avuto bisogno di tutto questo tempo!>".

Da sempre lo stereotipo in Italia ha associato il suono dello scacciapensieri (o "marranzanu", come sarebbe più corretto chiamarlo) alla mafia siciliana. Colpa de "Il Padrino", ma non solo. "Volevo capire meglio questo strumento, ho cercato di imparare a suonarlo e ne sono rimasto affascinato. Un giorno in Sardegna, dove viene usato dai pastori come nella mia Sicilia, ho capito che quel pezzetto di ferro era molto più di un oggetto da suonare, e sono partito alla ricerca della sua storia".

Un viaggio che ha portato Panarello ha raggiungere l'altro capo del mondo, la Yakutia, e a incontrare maestri e guaritori, musicisti e persone in vario modo legate a quello strumento. "Là tutti suonano lo scacciapensieri, tutti lo hanno in tasca. Lo suonano in modo diverso da noi, senza curarsi troppo di accordarlo ma riuscendo mentre suonano a trovare la posizione perfetta per ognuno di loro... Ho girato molti momenti musicali che non sono finiti nel montato finale, come l'esibizione di un'orchestra di bambini davvero bravissimi. In Yakutia lo strumento è di uso quotidiano, musicale ma ancor più per parlare con i morti, per addormentare i bambini, per guarire dalle malattie. È un amico per loro, davvero".

Un lavoro lungo e complicato per realizzare la produzione. "Complicatissimo, direi. Ho fatto un crowdfunding inizialmente per finanziarmi il primo viaggio in Yakutia, mettendo insieme una piccola somma. Mostrando quello che avevo girato là le cose hanno iniziato a muoversi, ma per completare il progetto servivano coproduttori esteri. Li abbiamo trovati in Germania (in 3 mesi hanno messo insieme quanto noi avevamo raccolto in 3 anni!) e sono potuto tornare là con una vera troupe. La collaborazione della popolazione locale è stata incredibile, davvero, e quando si sono rivisti nel film hanno apprezzato. Avevo una paura...".

16/03/2018, 11:29

Carlo Griseri