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FdP 56 - Intervista a Irene Dionisio


La regista ci parla del documentario "Sponde. Nel Sicuro Sole del Nord", presentato in anteprima nel concorso internazionale del Festival dei Popoli di Firenze.


FdP 56 - Intervista a Irene Dionisio
La regista Irene Dionisio
Come nasce l'idea per la realizzazione del documentario "Sponde. Nel Sicuro Sole del Nord"?
Irene Dionisio: Abbiamo iniziato a lavorare al progetto nel 2011 e, poi, abbiamo presentato lo script al Premio Solinas nel 2012, dove è stato premiato come miglior sceneggiatura per il documentario. L'idea è nata per caso, tramite un'insegnante di religione a Torino che mi aveva fatto leggere un articolo sulla relazione epistolare tra lo scultore e postino tunisino Mohsen e il becchino in pensione di Lampedusa Vincenzo, che entrambi avevano scelto di dare sepoltura ai corpi senza nome arrivati dal mare. Questa storia mi ha subito colpito. Sono andata, così, in Sicilia a conoscere Vincenzo e, poi, in Tunsia da Mohsen. Ho trascorso svariato tempo con loro, andando a girare in più riprese. Quindi ho cercato tutte le strade possibili per realizzare il mio film, che è stato poi prodotto dalla Mammut Film, Vicky Films ed a.titolo.

"Sponde" racconta, appunto, un'amicizia epistolare tra il postino tunisino Mohsen Lidhabi ed il becchino Vincenzo. Cosa accumuna queste due persone che abitano su due sponde opposte del Mediterraneo?
Irene Dionisio: Sono due uomini "isola", due persone che si sono auto-isolate autonomamente, calibrando il proprio baricentro culturale. Vincenzo ha avuto tantissimi problemi, non solo perché ha seppellito dei morti di altre religioni sotto delle croci, ma anche perché è stato addidato di mettersi in mostra, di volersi far pubblicità e di voler stare davanti alle telecamere, ma la sua è stata una scelta libera. Mohsen con il suo gesto ha non poco irritato i sostenitori del regime di Ben Alì, anche perché la rada era la zona delle partenze verso l'Europa. Entrambi hanno fatto una scelta molto forte, partendo, comunque, da una consapevoleza personale.

Come hai affrontato la tematica della morte?
Irene Dionisio: Il film parla di morte in maniera pudica. E' un racconto di più sull'assenza che sulla morte. Non si vedono corpi ed ho cercato di parlarle in modo molto spirituale, tramite il racconto dei due protagonisti. Il corpo è stato sempre un tabu per l'Europa. Moshen con il suo cimitero ha deciso di raccontare il movimento migratorio tramite le tracce dei corpi assenti. Il suo è un cimitero simbolico.

Il tuo film racconta una Lampedusa molto diversa da quella che ci mostrata sui mass-media. Che realtà sociale hai trovato sull'isola?
Irene Dionisio: Lampedusa è martorizzata dai media. Gli abitanti si sentano su un palcoscenico, dentro una vetrina politica, privati della loro identità. Per questo non è stato facile girare in Italia, perché ho dovuto conquistarmi la fiducia degli isolani, che guardavano con scetticismo la mia telecamera, l'ennesima presente a Lampedusa. Ho scoperto una comunità che non riesce ad elaborare il lutto per colpa della presenza massiccia del mass-media.

Per concludere, ci spiega l'origine del titolo del documentario?
Irene Dionisio: Dobbiamo pensare al viaggio dei migranti come un'esigenza di andare verso un "sole sicuro". Ogni persona è "migrante" nella sua vita e per questo il fenomeno deve essere inquadrato come una cosa fisiologica non come un problema sociale.

04/12/2015, 11:04

Simone Pinchiorri