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HANNAH ARENDT - Von Trotta e il pensiero di una donna


Un film da mostrare a registi italiani come Vanzina e Faenza. Una ricostruzione accurata e un racconto emozionante sulle vicende della Shoah


HANNAH ARENDT - Von Trotta e il pensiero di una donna
Barbara Sukova è Hannah Arendt del film di M. Von Trotta
"Hannah Arendt" è un film da non perdere e sarà in sala esclusivamente in occasione della Giornata della Memoria 27 e 28 gennaio. Il film di Margarethe Von Trotta è la ricostruzione accurata e ispirata della vita della filosofa, scrittrice e storica ebrea tedesca, emigrata dalla Germania nel 1933, e trasferita negli Usa dove ottenne la cittadinanza.
Il film parte dalla vicenda del processo ad Adolf Eichmann, ufficiale delle SS responsabile operativo dello sterminio degli ebrei, arrestato in Argentina nel 1960, processato in Israele per i suoi crimini e infine giustiziato.

La scrittrice fu inviata dalla rivista New Yorker per scrivere un resoconto del processo ma, di fronte alla pochezza umana dell'imputato emersa durante il processo, partorì una tesi che il mondo ebraico, americano e israeliano, non gradì affatto. Una tesi, sostenuta fino alla fine, che non giustificava l'ufficiale delle SS, ma individuava nella sua mancanza di personalità, di pensiero e di giudizio l'azione più grave, causa del suo comportamento criminale. La Arendt sosteneva anche che, come emerso durante il processo dalle testimonianze, ci fu una certa collaborazione tra i nazisti e i vertici ebrei tedeschi, sottolineando che in assenza di questa, forse, il popolo ebraico non sarebbe stato così passivo nella shoah, ma avrebbe messo in piedi una sorta di resistenza che avrebbe ridotto drasticamente il numero delle vittime.

Il film, anche se tratta argomenti e fatti complessi, è capace di coinvolgere lo spettatore aprendo delle porte interpretative sulla Germania, sul male, sul pensiero e sul comportamento degli ebrei dopo la seconda guerra mondiale. Nella storia non mancano gli aspetti personali e intimi della scrittrice; la storia d'amore con il marito e il rapporto di idolatria con il suo professore, il filosofo Martin Heidegger, e le sue importanti amicizie maschili e femminili.

Il film gode di ricostruzioni attente e credibili; scene, costumi acconciature, comportamenti riportano immediatamente lo spettatore nelle diverse epoche d'ambientazione, rendendo credibile le situazioni, i dialoghi, il contorno.

Hannah Arendt andrebbe assolutamente mostrato ai fratelli Vanzina, tra i pilasti del nostro cinema (almeno secondo i numeri) per l'accuratezza di questa ricostruzione, paragonandola alla sciatteria del loro "Sapore di Te". E andrebbe mostrato a Roberto Faenza, per fargli comprendere come realizzare un film di "argomentazione ebraica" senza scadere nella soap opera evitando frasi del tipo "... mi ami, dillo che mi ami", "Sì", "allora dillo, dillo che mi ami", battute chiave del suo "Anita B.".

16/01/2014, 09:00

Stefano Amadio