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ADRIANO PICCARDI - ITE, MISSA EST


Il direttore di Cineforum in esclusiva per CinemaItaliano.info analizza le doti "divinatorie" di Nanni Moretti


ADRIANO PICCARDI - ITE, MISSA EST
Nanni Moretti ne "La messa è finita"
Si è parlato molto, nelle ultime settimane, di due film di Nanni Moretti rivelatisi, alla prova dei fatti, in rotta di intercettazione degli eventi religiosi e giudiziario/politici più recenti: Il caimano (2006) e Habemus papam (2011).

Ma c’è a ben vedere un film, sempre di Moretti (!), che, forse più indirettamente ma ancora più sorprendentemente, sfodera un afflato “profetico” (parola da usare sempre con estrema cautela, d’accordo) anticipando il punto d’arrivo su cui il nostro Paese sembra sul punto di avvitarsi. Film non riconciliato, inquieto, carico d’angoscia: La messa è finita (1985).

Il testo latino di questa formula recita: «Ite, missa est». Non c’è una traduzione universalmente valida di queste parole, ma verosimilmente quella più plausibile è «Andate, il sacrificio è stato compiuto». Nel film, don Giulio si ritrova nella “sua”città, tra la “sua gente” (familiari, amici, un ex-“collega”) che credeva di conoscere e che invece gli si rivela estranea, non più interpretabile nei comportamenti e nelle parole. L’oggetto-soggetto del sacrificio è, alla fine, proprio lui, don Giulio: messo in croce ripetutamente, finisce per scegliere di andarsene, lontano, in missione, in America Latina. Dove almeno i poveri sono poveri davvero, materialmente e non moralmente come quelli che qui, a Roma, lo attorniano.

La società con cui don Giulio cerca di misurarsi non è soltanto una società senza direzione, ma – cosa ancora più disperante – che si rifiuta pure di cercarla. Una società in stallo – parole utilizzate così spesso negli ultimi tempi per definire lo status quo istituzionale, che poi è anche quello dei cittadini che con i loro voti questa situazione hanno provocato.

Questo film veniva realizzato esattamente a metà del decennio più stupidamente ottimista del XX secolo, secondo forse soltanto agli anni della cosiddetta Belle Epoque. Il decennio nel corso del quale il cartello televisivo berlusconiano lavorava alacremente a costruire quella base sociale da cui pochi anni dopo – e per un periodo che ancora pare non concludersi – il suo tycoon avrebbe ottenuto i voti necessari alla propria discesa e permanenza “in campo”.

Questo post non cerca conclusioni. Onestamente, non credo sia possibile in questo momento trarre conclusioni di alcun tipo. Colpisce che proprio in questo fine settimana sia arrivato nelle sale un film come Un giorno devi andare, nel quale a un certo punto la protagonista afferma che è necessario identificarsi con la terra affinché questa possa dare frutti. E che ciò potrà comunque avvenire soltanto se ci si dimenticherà di Dio. Il cinema qualche volta sa offrirci dei segnali.

01/04/2013, 09:00

Adriano Piccardi