"Le Quattro Volte": l'intreccio di storie di
vita quotidiana tra documentario e finzione


Ci sono delle volte in cui aggiungere parole, commenti, considerazioni, riguardo certe opere, riesce davvero difficile. Il rischio è di essere scontati, banali, perchè certe realtà sono dotate di una tale naturalezza intrinseca, che prima di addentrarsi ti verrebbe voglia di chiedere “permesso”. Quando uscì a Cannes, “Le quattro volte” di Michelangelo Frammartino, che dai primi passi mossi all'interno del “Torino Film Lab”, si è trovato ad essere venduto in più di cinquanta paesi, venne giustamente definito dalla stampa estera un “caprolavoro”.

Girato in alcuni paesini della Calabria, dove il tempo pare essersi fermato, la pellicola a cavallo tra il documentario e la finzione, racconta l'intreccio di storie di vita quotidiana di un vecchio pastore malato, di una capra dispersa in un bosco, di un gruppo di carbonai e di una comunità immersa nelle proprie manifestazioni cristiane e pagane. Michelangelo Frammartino ricorda al grande pubblico che la natura, quella vera, incontaminata, bella, resiste ancora e lo fa scrivendo per immagini un elogio della lentezza, in cui perfino le lumache risultano più veloci dell'uomo. Lassù in montagna la vita procede in modo ciclico, con il passare delle quattro stagioni, delle quattro volte, e se un pastore muore, un agnellino nasce, perchè lì non vi è differenza tra uomo e animale. Protagonisti sono gli esseri viventi, senza distinzione alcuna e inconsciamente ti trovi ad immedesimarti in una capretta spaesata o in un cane da gregge sull'orlo di una crisi di nervi. I carbonai intanto accatastano centinaia e centinaia di quintali di legna, che con il tempo viene ripulita da ciò che è in esubero, perchè possa rimanere solo l'essenziale. Proprio come il film stesso che con il passare del tempo gioca di sottrazione, fino a far rimanere nel quadro dell'immagine solo la quintessenza della natura.

30/11/2010, 15:45

Antonio Capellupo