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Note di regia del documentario "Le Case Bianche"


Note di regia del documentario
Tutto nasce dall’idea di partenza di girare un breve backstage del film "Marpiccolo" di Alessandro di Robilant, storia di degrado e miracoli nella Taranto difficile del quartiere Paolo VI. Poi l’incontro con il quartiere Paolo VI di Taranto ha rimescolato le carte dando a noi la possibilità di entrare in un mondo apparentemente ostile e impenetrabile e il backstage è diventato un documentario. Ci siamo pian piano staccati dal film mettendoci in una posizione più distante, laterale, che ci ha offerto un punto di vista “panoramico”, più ricco, fertile di stimoli; un punto di vista privilegiato, intimo, popolare, che ci ha aiutato a raccontare come il set e il Film sono stati visti e vissuti dalla città, dalla gente che ha accolto il cinema in “casa propria”.
Le domande dalle quali siamo partiti sono state: Come viene “accolto” il Set?
Come vengono vissuti, dalla gente, dal quartiere, i giorni di lavorazione? E soprattutto cosa lascia dietro di sé il Set quando, come un circo, smonta le tende e parte per altre location? E anche: quanto la città lascia ai professionisti che lavorano sul Set?
La storia di “Le Case Bianche” intreccia diversi piani narrativi.
Si comincia narrando le gesta di una produzione cinematografica che gira un film a Taranto, un film sui contrasti sociali nel sottobosco giovanile fatto di microcriminalità e lotta per sopravvivere e i tentativi di redenzione, colmi di dignità e sentimenti semplici e forti.
Il nostro racconto poi si sviluppa ai margini del set cinematografico, in bilico tra reale e reale immaginato, tra la magia del cinema e la vita dura e cruda di un quartiere di periferia di una città periferia. E’ il racconto di un quartiere scomodo ma ospitale che accoglie un gruppo di persone e professionisti del cinema che invade le strade, le piazze, entra nelle case e trasforma i suoi abitanti in attori e comparse.
La sottolineatura più evidente mostra come basti poco per capovolgere pregiudizi, figli solo della paura e dell'ignoranza o ancor più del bombardamento condizionante dei media che hanno restituito negli anni un’idea di questo quartiere legata esclusivamente alla cronaca violenta, alla malavita, alla droga colpevolizzando senza pietà i suoi abitanti, etichettandoli per sempre come la feccia della città. Troppo spesso dimentichiamo che, dietro una notizia di cronaca, anche la più truce, spesso si nasconde un disagio del quale si evita di cercare le cause.
Anche noi, intrisi da pregiudizi e sospetti, abbiamo seguito il film con una troupe leggera, registrando, giorno dopo giorno, il nascere di un’amicizia tra la troupe cinematografica e gli abitanti del quartiere, un’amicizia che è diventata anche un‘occasione di lavoro e di opportunità. Infatti alcuni abitanti del quartiere hanno recitato, altri lavorato dietro le quinte, generando un rapporto diretto, da pari a pari, senza distanza, senza paure.
L'umanità che abbiamo scoperto tra la gente del quartiere è un’umanità semplice, spiazzante, basata su pochi valori, ma condivisi e condivisibili. "Io non mangio se la signora della porta accanto non può mangiare" ci dice una signora, che forse sarà anche una spacciatrice ma, credeteci, la preferiamo mille volte all'imprenditore che ha costruito il suo quartiere fatto di palazzoni nel deserto, al politico che senza amore per l'uomo non si occupa delle esigenze elementari a cui questa gente ha diritto. Perché tanta meraviglia se i figli delle case bianche diventano cani sciolti preda della illegalità e delle cronache dei notiziari?
La nostra sensazione, grazie al rapporto di amicizia e lavoro che abbiamo tessuto insieme a loro, è che quando torniamo al quartiere Paolo VI è come tornare a casa.

Mauro Ascione e Emanuele Tammaro