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Intervista al regista Gianni Celati sul documentario
"Case Sparse. Visioni di Case che Crollano"


Intervista al regista Gianni Celati sul documentario
Come è nata l'idea di studiare le case che crollano nelle nostre campagne?
Gianni Celati: Più di dieci anni fa, io e il Gruppo Pierrot e la Rosa abbiamo fatto il nostro primo filmdocumentario, che s'è intitolato "Strada Provinciale delle Anime", prodotto per Rai Tre. L'idea era di usare un mio libro di esplorazioni delle campagne nella valle del Po (intitolato "Verso la Foce") per ricavarne un film o qualcosa del genere. Dopo è venuta fuori
un'altra idea, tuttta diversa. Ma è così che abbiamo cominciato a studiare le campagne e filmare le vecchie case che crollano un po' dappertutto. Nel 1998 abbiamo fatto un documentario su un nostro amico, il grande fotografo Luigi Ghirri, morto prematuramente, e questo ci ha portato di nuovo in giro per le campagne a osservare le vecchie case in rovina.

Tu hai lavorato con Luigi Ghirri a tre libri fotografici. Ma per voi come gruppo ha contato molto l'amicizia con Luigi Ghirri?
Gianni Celati: Sì, credo che l'impianto fotografico dei nostri documentari debba molto alle sue foto, e a tutto quello che Ghirri ci ha insegnato lavorando insieme. Lui faceva parte del gruppo di lavoro in "Strada Provinciale delle Anime", dove tra l'altro fa un discorso sulle campagne come "il luogo della distruzione". Il suo ultimo progetto prima di morire era di fotografare l'architettura rurale nelle zone del reggiano, architettura che sta scomparendo e tra pochi anni sarà svanita nel nulla. Siamo ripartiti di lì anche noi, creandoci un archivio di esempi. Abbiamo trovato due guide sul territorio che ci hanno molto aiutato: uno è Daniele Benati (autore d'uno straordinario libro, "Silenzio in Emilia", pubblicato da Feltrinelli), l'altro è Alfredo Gianolio (un avvocato di Reggio Emilia che è stato un amico e seguace di Cesare Zavattini).

L’idea del tuo film mi sembra che ribalti il modo corrente di guardare le rovine. Nel film una donna dice che "noi non siamo più abituati a vivere tra crolli e distruzioni, dunque questi ci sembrano la fine del mondo. Poi fa un paragone con le situazioni in Africa e Medio Oriente. Mi sembra che qui soprattutto emerga un’idea politica del tuo lavoro.
Gianni Celati: Forse. Ma è vero che c’è quella linea divisoria netta, tra popoli che sono ancora abituati a vivere tra i crolli, nella penuria, dunque a prendere il mondo esterno così com’è, e i popoli ricchi che tendono a un restauro totale del visibile - per farlo sempre più uguale a un’immagine pubblicitaria. Io abito in Inghilterra, in un quartiere con molti negozietti che non sono stati restaurati, dove qua e là vedo delle screpolature in un muro o un’insegna sbiadita dal tempo. Aspetti del genere diventeranno sempre più rari nel nostro mondo. Il mondo occidentale sta diventando sempre più dominato dal fanatismo del far tutto nuovo di zecca, per cancellare le tracce del tempo. Questo fanatismo consiste nel trattare tutto come un prodotto di consumo da gettare via appena è vecchio, oppure da sostituire con un modello tecnologico più avanzato.

04/02/2008, 20:02