TFF43 - Tomassini: "Le mie madri non sono criminali"
Alice Tomassini accompagna a Torino Film Festival, nel concorso documentari, il suo "Mothers", che intreccia tre storie che rivelano come il controllo sul corpo femminile diventi il terreno su cui si gioca la libertà di tutti.
Da che punto è partita per questo progetto?
Tutto è iniziato dalla Cambogia, un pezzo di storia che ho scoperto grazie a un'amica fotografa, una che ho trovato pazzesca. Una legge improvvisa ha criminalizzato la maternità surrogata e 32 donne sono state arrestate, costrette a crescere i figli altrui che hanno partorito. Sono andata direttamente là per conoscere queste donne, volevo partire così: davvero incredibile, sono stata mesi là e mentre ero in Cambogia in Italia stava per passare la legge sul crimine universale... ho voluto indagare il tema anche da noi.
Cosa le accomuna?
Ovviamente non è un caso che le cose si siano sviluppate quasi contemporaneamente, da tempo ci pensavo perché in Italia se ne parlava, poi tutto è capitato in poco tempo.
La portata violenta delle due storie è uguale, una violenza dello stato, una legge cambia e ci si trova nel mezzo.
In Cambogia queste donne già portavano avanti figli di altre persone e ancora oggi non hanno capito perché sono state punite, non facevano nulla di male, non hanno ancora ricevuto una risposta.
Come avete affrontato un tema così complesso?
A inizio film abbiamo messo dei cartelli in cui spieghiamo un po' come funziona, che i figli non sono mai della gestante, che deve avere già avuto altro figlio eccetera. Però poi ci interessava la parte umana, andare avanti per slogan non ci interessava e invece si fa sempre così, non si sente l'esigenza di ascoltare. Io volevo sapere perché.
La parte italiana come è stata sviluppata?
Trovo assurdo che sia considerata dalla nostra legge un reato universale, lo è un genocidio, non questo!
In Italia è stato difficile trovare persone disposte a parlare, quasi un anno è servito, erano tutte totalmente spaventate dalla situazione e non se la sentivano di confidarsi. Poi per fortuna è andata, ma abbiamo dovuto fare un grande lavoro con la direttrice della fotografia per proteggerle, c'era sempre la paura di cosa poteva succedere ai loro figli o strumentalizzarle. C'è un anonimato poetico, se così si può dire.
E poi c'è il punto di vista di una figlia.
Lia è figlia di due padri nata grazie a quella pratica, e rivendica il diritto di esistere.
L'ho conosciuta casualmente a una manifestazione, una sua frase usata mi aveva molto colpito: "non è come sono venuta al mondo che mi definisce", lei è cresciuta cercando di costruirsi una corazza per legittimare il fatto che esiste, lei è per alcuni un reato universale.
Credo sia stato difficile da vivere, mi ha confidato che la cosa che l'ha ferita di più è essere stata chiamata prodotto. E' portentosa, sembra una ragazza del futuro.
Questo documentario non vuole essere di propaganda, non è uno spot per la gravidanza per altri ma vorrei che potesse creare dibattito e sensibilizzare su questo argomento, far parlare chi è coinvolto in prima persona, dare voce a chi di solito non ne ha.
E in futuro cosa ci aspetta?
Sto già lavorando su un altro documentario sul tema famiglia, ma in senso ampio, è un microcosmo interessante da raccontare, è un tema che è molto nelle corde.
26/11/2025, 19:49
Carlo Griseri