LA CAMERA DI CONSIGLIO - Il cinema si fa con le parole
Correva l’anno 1984: il “pool antimafia”arresta centinaia di mafiosi grazie ad un blitz sorprendente. 8000 pagine di una ordinanza scritta da Falcone e Borsellino danno vita ad un maxi processo mai visto in Italia. Quasi 500 imputati, più di 200 avvocati, oltre 600 giornalisti. Per l’occasione sarà costruita un aula bunker capace persino di resistere ad attacchi missilistici. Il 10 febbraio del 1986 inizia il più grande processo penale mai fatto al mondo. Quasi due anni di dibattimento, 349 udienze, 1314 interrogatori, 635 arringhe difensive. L’11 novembre del 1987 la Corte si riunisce in camera di consiglio, all’interno del carcere
dell’Uicciardone.
E “
La camera di consiglio” è il titolo dell’ultimo bel film diretto da
Fiorella Infascelli, cresciuta “dentro” il cinema per ragioni familiari. Suo padre era il produttore Carlo Infascelli. E quegli anni giovani di cinema e famiglia li aveva già raccontati nel riuscito “Zuppa di pesce” del 1992 con Philippe Noiret, Chiara Caselli, Renzo Montagnani.
A più di trent’anni di distanza Fiorella Infascelli firma il film della sua maturità artistica. “La camera di consiglio” racconta di quei 36 giorni di isolamento a cui sono costretti gli otto giurati della corte del tribunale di Palermo. Quei quasi cinquecento imputati da giudicare si trasformeranno in un incubo, ogni giorno di più. Passando in rassegna ogni singolo imputato i cui nomi erano e sono noti alle cronache, Brusca, Calò, Buscetta, Greco, Riina, il gruppo sempre costantemente riunito intorno ad un tavolo tira fuori debolezze, incertezze, dubbi di natuta etico morale.
I due giudici togati e i sei giurati popolari danno vita ad un vero e proprio ring in cui a vincere è “la parola”. Condannare, assolvere, chiedere il fine pena mai, l’ergastolo; per chi ? Per quanti di loro ? Chi viveva di certezze lascia il passo ai mille dubbi, in ogni attimo di quella “prigione forzata”. Quei dubbi che tengono svegli tutta una notte, complice una situazione di claustrofobia a causa delle costrizioni e delle limitazioni anche fisiche a cui sono costretti. Grazie ad una sceneggiatura possente e potente che ricorda il miglior cinema di impegno civile, Fiorella Infascelli da vita ad un film che emoziona e coinvolge.
Il merito va anche alle straordinarie interpretazioni di
Massimo Popolizio e Sergio Rubini. Difficile, impossibile e forse ingiusto, stabilire chi dei due sia più bravo. Intorno a loro altri interpreti di razza come Claudio Bigagli e Betti Pedratti. “E’ la prima volta che si dice che la mafia esiste a noi siciliani. E che noi siciliani abbiamo potuto finalmente condannare altri siciliani; i mafiosi”… urla disperato sul finale il grande Massimo Popolizio.
“La camera di consiglio” ha un altro merito; farci ricordare che il cinema si fa con le parole, con le belle parole che scavano nell’anima dei personaggi. Ma molti registi pare abbiano dimenticato il valore della parola. Di certo non Fiorella Infascelli a cui consigliamo di pensare ad una versione teatrale del film che valorizzi ancora di più un “plot”vincente.
14/11/2025, 08:27
Federico Berti