Note di regia de "Il Commissario RicciardI - Terza Stagione"
La Terza Stagione lascia parlare i personaggi con una libertà che li solleva sopra il quotidiano per sfiorare temi vitali e sensibili. Penso alle toccanti parole di Bambinella sulla povertà, alle profonde considerazioni teologi¬che di don Pierino sulla confessione e alle riflessioni disperate di Modo su miseria e malattia. In questi episodi la musica di Napoli vibra con toni e armonie diverse: il significato delle sta¬tuine nella cosmogonia del Presepe, la follia natalizia con i suoi appun¬tamenti imprescindibili, le dinamiche di potere tra i disperati e i potenti o i corrotti. Napoli, meraviglia demoniaca. Qui la macchina stritolante del Fascismo splende nella sua assenza di etica. La carriera nei Servizi, la doppia morale nei rapporti personali, il cini¬smo e il disprezzo della vita umana edificano una trama criminosa apparentemente illogica. Eppure, la chiave che permette di illuminare il buio di Napoli è proprio Napoli, cui De Giovanni innalza un inno accorato: la città è una ragnatela di rapporti, una rete sotterranea di connessioni paren¬tali, amicali, lavorative, quasi biologiche, attraverso le cui maglie nulla può passare inosservato. E basta poco per fare affiorare le mille piccole ammissioni sussurrate a mezza bocca o indicate con gesti con¬fidenziali che, collegate con sapienza dai nostri, edificano una verità inconfutabile. La città è più furba dell’autorità che tenta di dominarla, la aggira, fa affiorare voci sottili che possono fare esplodere le macchinazioni del potere. E i nodi viventi di questa rete nascosta sono dei personaggi indimenti¬cabili, vite disperate eppure capaci di esprimere generosità e coraggio: il pescatore Salvatore e la sua Angelina, il verduraio ambulante Esposito Paolo, il custode Gennaro, l’autista Arturo, perfino la maligna (e seducente) duchessa Maria Giulia Previti di San Vito. Un ventaglio di personaggi curiosi, affascinanti, attori squisiti della commedia umana che si di¬spiega nell’universo partenopeo spazzato da violenti contrasti. Poi ci sono loro: Ricciardi, la cui tra¬gica confessione a Enrica esibisce una grandezza narrativa che rapisce. È un punto alto del racconto. Qui Ricciardi guadagna grandezza nella vastità della sua ossessione mania¬cale e nella profondità del suo dolore incoercibile: eppure Enrica lo accoglie e riesce non solo a ri¬guadagnare il suo amore ma anche a sconfiggere il suo giuramento del silenzio: matura e forte, si propone come garante della felicità del commissario. Insieme nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia: “Non ti dimenticare di noi”, gli sussurra. Poi c’è Maione, con lo spettro della perdita di Luca che illumina di un lampo sinistro il primo episodio, la “vendetta”, mentre sembra risolversi nel terzo con una sorta di adozione elettiva. Maione traversa le storie con una profondità più intensa, nell’abbaglio illusorio di avere trovato un figlio vicario, lucidamente osteggiato da Lucia, sempre sensibile nel cogliere i turbamenti del marito. Livia invece fiorisce maestosamente come femme fatale: è un personaggio tragico e in questa Stagione sfodera ogni sua luce e ombra in totale libertà. La sua perdita di lucidità è un percorso di sofferenza, di fallimento, di rinuncia. Nel racconto brilla anche la commedia, negli strafalcioni di Bambinella che sa tutto di tutti, nella testardaggine di Maria che vuole maritare la figlia, pigramente osteggiata dal cav. Colombo, nella missione salvifica che Nelide assume per ammogliare il barone. Una Stagione sfaccettata in cui le storie personali ci conducono con curiosità attraverso i delitti da svelare e i fantasmi da liberare.
Gianpaolo Tescari