Note di regia di "Una Famiglia Sottosopra"
In "
Una Famiglia Sottosopra" ho provato a raccontare il caos e la fragilità che si nascondono dietro ogni equilibrio familiare. Non una storia perfetta, ma una storia fatta di cadute, di scambi, di malintesi, in cui ognuno si trova costretto a interpretare un
ruolo che non gli appartiene.
Sul set ho cercato di tenere insieme leggerezza e verità. Le scene corali, dove gli equivoci esplodono, sono state costruite come piccole coreografie: tempi serrati, entrate e uscite precise, dialoghi che si rincorrono. Volevo che il pubblico percepisse la vertigine del gioco, la sensazione che in quella casa tutto potesse cambiare in un attimo.
Accanto a questo, ho scelto momenti più intimi, dove la macchina da presa si è fermata, restando vicina ai volti. In quelle pause, nei silenzi, ho cercato di mostrare cosa resta quando il meccanismo comico si spegne: lo smarrimento, la paura, ma anche la
tenerezza che lega i personaggi. Ho voluto che la luce rimanesse sempre calda e domestica, quasi accogliente, come se la casa fosse un personaggio che assiste in silenzio al disordine dei suoi abitanti. E con gli attori ho lavorato su un doppio registro: da un lato la precisione comica, dall’altro la sincerità emotiva. È stato importante che il pubblico potesse ridere, ma subito dopo riconoscersi nelle fragilità dei personaggi.
Il film, alla fine, non è soltanto una commedia di equivoci. È un ritratto di famiglia in cui i ruoli si confondono, si ribaltano, si perdono, e proprio lì si rivela la verità dei rapporti. Per me, dirigerlo ha significato trovare un equilibrio tra leggerezza e malinconia, tra risata e commozione. Perché nelle famiglie, così come nel cinema, non sempre conta mantenere l’ordine: a volte è nel sottosopra che si scopre chi siamo davvero.
Alessandro Genovesi