Note di regia di "Ferdinando Scianna - Il Fotografo dell'Ombra"
Ho sempre fatto ritratti di artisti-amici nella mia vita di documentarista. Ne enumero alcuni per me fondamentali: Francesco Rosi, Harold Pinter, Robert Wilson. Il metodo è nell’aspettare che si riveli qualcosa d’inaspettato.
Anche questo film è un racconto che scommette sul tempo. Una materia squisitamente fotografica. Il ritratto infatti è il punto geometrico in cui passato, presente e futuro di una vita confluiscono.
Mangiatore di vita, Ferdinando Scianna è oggi un signore di ottant’anni e passa, con una testa meravigliosamente scattante e veloce, piena di storie incredibili. Può persino raccontare di aver fatto delle prove di morte, per una malattia che pochi anni fa lo portò a scrivermi che era necessario rivedersi al più presto perché stava per andar via.
Entrare nella sua vita vuol dire ripercorrere una esistenza ricca di incontri con alcuni giganti della cultura del Novecento, intessuta dall’amicizia e dal continuo interrogarsi sul senso del fotografare, e sul significato che può ancora avere produrre delle immagini.
Scianna rivendica la specificità della fotografia, affrancandola dall’essere una forma d’arte.
È un’altra cosa, dice. Rivendica per essa la funzione insostituibile di sonda del reale in un momento storico in cui le immagini sembrano servire più a nascondere la realtà che a rivelarla, in un’epoca in cui la realtà sembra sul punto di sparire del tutto. È affascinante quando parla, Scianna, irresistibile direi.
Lo vedremo in azione, nel corso di un viaggio a Bagheria, mentre va a trovare dei vecchi amici che ha fotografato in gioventù e che vuole ri-fotografare.
Lo vedremo andare a cercare tracce di Leonardo Sciascia nella sua casa di Palermo.
Lo vedremo a Milano mentre srotola il filo della sua vita per raccontarmelo, cercando di restituire con passione quel quid che rende la fotografia un’avventura meravigliosa e un
destino.
Roberto Andò