Note di regia di "Unicorni"
Nel caos ideologico del nostro tempo, in cui convivono consumati retaggi e nuove istanze, questo film nasce da una domanda: e se capitasse a me? E se una persona come me, che si considera aperta, democratica, inclusiva, insomma, decisamente progressista, si trovasse ad affrontare una questione che mette in discussione tutte le sue certezze, scoprendo di non essere quello che credeva di essere e dovendo quindi ripensare alla sua stessa identità?
Lucio sono io, è mio fratello, i miei amici storici. È un conduttore radiofonico conosciuto per la sua ironia e le sue posizioni aperte e spesso in polemica con il mainstream. Elena è la sua seconda moglie, una donna con il super potere dell’accoglienza che gestisce un polveroso negozio ereditato dalla famiglia. Blu, 9 anni, è il loro unico figlio: un bambino creativo ma equilibrato che non assomiglia a nessuno. Il piccolo nucleo è circondato da una famiglia allargata composta dalla prima moglie di Lucio, la super progressista Marta, e Diletta, la loro figlia adolescente, una ragazza un po’ ribelle in piena evoluzione. Attorno a loro, il mondo decisamente meno aperto con cui ci misuriamo tutti i giorni, ogni giorno un po’ più a fatica.
Blu ha capelli più lunghi del mondo (NDR. quelli dell’attore che lo interpreta, l’esordiente Daniele Scardini) e viene scambiato spesso per una femmina: ama anche indossare abiti da bambina e gli è permesso farlo per gioco, in casa. Ma quando inizia a chiederlo anche nel quotidiano ed esprime il desiderio di interpretare il ruolo della Sirenetta nello spettacolo scolastico di fine anno, mostrandosi insofferente alle etichette di genere, le certezze dei suoi genitori si rompono e tutta la libertà con cui il bambino è stato cresciuto ed educato diventa una minaccia. Ma mentre Elena prova ad accogliere nel desiderio di capire, inciampando qua e là nella sua sconfinata fiducia, Lucio, nel tentativo di proteggere il figlio si ritrova invece a misurarsi con dei limiti che non pensava di avere, scoprendosi fin troppo simile a quel mondo chiuso e reazionario che ha sempre combattuto. In fondo, il primo nemico che dobbiamo fronteggiare è quello che abita dentro di noi.
È così che Lucio ed Elena si ritrovano a partecipare agli incontri dei Genitori Unicorni, un gruppo di auto-aiuto gestito da una psicologa (NDR. che ho voluto interpretare, pensandola un po’ come una “regista” delle sedute) con famiglie che hanno bambini con varianza di genere: con percorsi allo stesso tempo simili e differenti da quello di Blu. Da quel momento, nella nostra famiglia, tutto cambia.
Lucio ed Elena sono pieni di contraddizioni, proprio come noi. Ma proprio come noi, possono imparare a diventare una versione migliore di loro stessi. A volte a fatica. A volte con resistenza. Anche grazie a Blu, un piccolo unicorno con diversi super poteri: la saggezza, la chiarezza, la determinazione. Che chiede soltanto una cosa: essere visto per quello che è.
In questo momento storico così fortemente polarizzato da posizioni estreme, in cui le opinioni sono spesso espresse in modo conflittuale più che assertivo, avevo bisogno di raccontare come è difficile essere coerenti con i propri valori e quanto sia necessario comprendere anche altri punti di vista e mettersi in discussione ogni volta, per ritrovarsi.
Avevo anche un forte desiderio di approfondire il tema dell’identità di genere, così contemporaneo ma allo stesso tempo poco esplorato dal nostro cinema. In special modo, la varianza di genere nei giovanissimi, per quanto controversa, è una realtà, anche se spesso negata, osteggiata o messa al bando: desideravo soprattutto osservarla da vicino senza giudicare. Così mi sono confrontata con l’associazione GenderLens - che riunisce famiglie, giovani persone transgender e gender creative - che ha supportato tutto il progetto: grazie a loro i bambini presenti nel gruppo Genitori Unicorni - Chiara, Andrea, Pietro e April - sono interpretati da giovani attori gender variant. Nel film sono presenti come attori anche due veri genitori dell’associazione (NDR. il papà e la mamma di Chiara).
Unicorni, tuttavia, non è un film sul “gender”. Racconta la ricerca di una identità: che non è solo quella di Blu, che forse sta solo attraversando una fase. Piuttosto, è la storia di Elena, che deve ripensare a se stessa come donna prima che come madre e imparare a diventare assertiva, ma soprattutto quella di Lucio, che non conosce davvero i pregiudizi ed i limiti che si porta dentro e dovrà fare un percorso nell’amore per arrivare a vederli e superarli.
È un film sulla fatica e il coraggio che sono necessari a un genitore per lasciar andare l’idea che ha di un figlio, per fare spazio all’individuo che ha davanti. Ed è un film su una coppia che si confronta e prova ad evolvere. E sull’ambiente che la circonda e le permette, con le buone o con le cattive, di farlo. Insomma, una riflessione sull’educazione sentimentale ed emotiva. In buona sostanza, di nuovo un film su una famiglia. Credo che non ne uscirò mai.
Per quasi sette anni ho lavorato al soggetto con Alessia Crocini (NDR. con cui ho scritto anche “Nove lune e mezza” e che è la presidente dell’associazione Famiglie Arcobaleno) poi, quando ci hanno attivato lo sviluppo della sceneggiatura, è salito a bordo anche Tommaso Triolo.
Ho voluto approcciare al tema attraverso la commedia perché è il modo con cui mi esprimo spontaneamente, e che per me resta sempre un mezzo molto efficace per empatizzare con una situazione. Così ho provato a prendere per mano una piccola storia familiare e portarla in quella zona di confine dove l’amore inciampa sulla paura, e la libertà si scontra con le aspettative. Tuttavia, non mi sono resa conto che un argomento così sensibile avrebbe condizionato il progetto: alla fine, ne è venuto fuori un dramedy pieno di umorismo ma emotivamente potente, più di quanto io stessa potessi immaginare.
Volevo fare un piccolo film su un tema grande. Un film mosso, poco “seduto”, spontaneo, vicino al vero. Con Stefano Salemme, il direttore della fotografia, abbiamo deciso di usare una sola macchina da presa e concentrarci su una inquadratura alla volta, un fuoco alla volta, un personaggio alla volta, un sentimento alla volta. Andare ad approfondire, a sentire il respiro, gli occhi, le emozioni dei personaggi. Ho girato a Roma (Monteverde) perché volevo raccontare un ambiente che conosco, così come conosco il mondo della radio - dove lavora Lucio - che ho tanto frequentato.
Per portare in vita i protagonisti ho avuto il privilegio di lavorare con Edoardo Pesce e Valentina Lodovini: due attori straordinari, con un talento che avevo perfino paura a maneggiare. Hanno totalmente sposato il progetto con incredibile generosità, senza nessuna paura di mostrarsi fragili, imperfetti, umani. Edoardo, che ha una storia di personaggi duri, ha offerto a Lucio la sua dolcezza nascosta e tutte le sue sfumature, dipingendo un protagonista pieno di modernità e contraddizioni, un uomo che si crede progressista ma che scopre di avere nel DNA parecchio patriarcato inespresso. Ma se Edoardo ha una attitudine divertita e scanzonata nell’approccio al lavoro - per quanto serissima - Valentina si immerge nei personaggi senza temere di andare a toccare la sua personale vulnerabilità: ha dato a Elena tutta la sua sensibilità, raccontando una madre che fa del suo amore una missione, anche se prima deve imparare a trovare la propria voce. Alcuni dei monologhi del film sono sue improvvisazioni che ho deciso di tenere.
Attorno a loro, un gruppo di attori che conoscevo, ed altri che ho avuto modo di incontrare con provini su parte (grazie al talento della casting Anna Pennella): tutti incredibilmente aderenti alle immagini che avevo dipinto nella mia testa. Un coro di umanità che ha aderito al progetto con entusiasmo.
E poi c’è Daniele Scardini, la scoperta più luminosa di questo film. Ho cercato Blu per un anno e mezzo, sapendo che sarebbe stato un casting molto difficile, prima di sapere come e quando avrei girato. Per me era imprescindibile che comprendesse bene il tema e che la famiglia fosse d’accordo. Quando è arrivato il suo self tape - attraverso una scuola di teatro che frequenta con suo fratello - ho capito subito che era Blu. Daniele è un bambino estremamente maturo anche
grazie ai suoi genitori che lo stanno crescendo con equilibrio e consapevolezza, e ha un’intelligenza emotiva fuori del comune che mi ha colpita profondamente. Anche se non vive la stessa esperienza del personaggio, ha saputo interpretare con intensità i dubbi di un bambino che non sa esattamente a quale genere appartenere. Alla prima prova costume da Sirenetta mi ha detto: “per me è una maschera cringe, ma so che a Blu piace”. Tra noi si è creata subito un’intesa speciale — forse perché ci siamo capiti al volo, forse perché anche lui ha dentro un
piccolo “unicorno”. E lavorare con lui è stato un dono. Anche se preferisce di gran lunga Valentina. Come dargli torto?
Michela Andreozzi