CINEMAMBIENTE 28 - Il programma di venerdì 6 giugno
Le proiezioni al
Festival Cinemambiente si aprono nel pomeriggio con i primi titoli in gara nella sezione dei cortometraggi internazionali. I 18 titoli selezionati, suddivisi in quattro programmi, presentano quest’anno, più che mai, una varietà estrema di temi, ambientazioni, generi, tecniche di realizzazione – dal documentario, alla fiction, all’animazione, dai film di montaggio di materiali d’archivio a quelli sperimentali – a conferma, ancora una volta, della vitalità della produzione internazionale del cinema “breve” ambientale. Il primo programma (ore 16.30, Cinema Massimo – Sala 3) comprende 5 titoli.
Diretto da Paolo Patelli, architetto e artista italiano con base a Copenaghen,
Saaret è una riflessione sensoriale e cinematografica sulle interazioni tra vita umana, infrastrutture urbane e mondo naturale che, girato in Super8, esplora Helsinki come un arcipelago ambientale fatto di isole di calore e di energia, atmosfere isolate e climi artificiali. Con
Lost Songs of Sundari, diretto dal regista indiano Sudarshan Sarjerao Sawant, ci spostiamo a Mumbai, un tempo un grappolo di villaggi collegati solo via mare. Il film ricostruisce la storia del mitico ferryboat Sundari, reso obsoleto dal processo di urbanizzazione, dalla costruzione dei grandi ponti e dalle opere di bonifica che hanno cambiato il volto della città e la vita, profondamente legata all’acqua del mare, della sua popolazione nativa, i Koli.
Dall’Oceano Indiano si passa poi al Canale della Manica con
Headland, diretto dalla regista brasiliana, di stanza in Scozia, Mariana Duarte. Nel film, la riserva naturale del promontorio di Dungeness, diventa, con la sua sterminata spiaggia di ciottoli, lo sfondo meraviglioso e insieme spettrale in cui le antiche tradizioni del salvataggio in mare si intersecano con le nuove rotte dei migranti.
Niederurnen, GL, della regista svizzera-svedese Anna Joos Lindberg, è invece girato in una sperduta vallata del canton Glarona. Tra filmati d’archivio e interviste, il film ricostruisce la storia della “città dell'Eternit”, Niederurnen, dove vivono ancora molti ex operai italiani che lavoravano nella multinazionale svizzera produttrice, per oltre cent’anni, di manufatti in cemento-amianto e dove la morte arriva con il vento, che continua a trasportare le fibre invisibili dell’asbesto.
Comida para todos: divinidades, naturaleza y humanos, della fotografa peruviana Prin Rodríguez, è un dialogo a più voci, tra dei, natura e umani, sul cibo, il tempo e i legami emotivi. Realizzato prevalentemente con immagini fisse, il film è ambientato nella città di Cusco, nelle Ande meridionali del Perù, dove l’agricoltura, l’attività prevalente, è resa sempre più difficile dal cambiamento climatico, e dove diverse persone si impegnano in iniziative per la sicurezza alimentare, facendo emergere, attraverso le loro testimonianze, il ruolo del cibo come elemento di connessione umana e cosmologica. Le proiezioni saranno seguite da un incontro con Paolo Patelli, regista di Saaret, con Sudarshan Sarjerao Sawant, regista di Lost Songs of Sundari (online), con Mariana Duarte regista di Headland (online) e con Anna Joos Lindberg, regista di Niederurnen, GL.
Nel secondo pomeriggio si avvia, con diversi titoli in successione, anche Made in Italy, selezione dei migliori documentari naturalistici e ambientali di produzione nazionale realizzati nell’ultimo anno: 23 i film di quest’edizione, che raccontano un’Italia – e un mondo – in trasformazione, fatta di territori che resistono, memorie che riaffiorano, ferite ancora aperte. Il primo appuntamento è con una serie di cortometraggi (ore 17.30, Cinema Massimo – Sala 1). In
Arance amare, di Davide Tisato e Noé Coussot, la speranza di un lavoro regolare nella raccolta delle arance in Calabria si dissolve nel giro di pochi giorni, lasciando i braccianti immobili tra gli alberi, simbolo potente di un'attesa senza risposte. Nel Nord della Scozia,
Dying Lochs, di Francesco De Augustinis, ci mostra che cosa accade quando la produzione industriale invade la natura: l’allevamento intensivo di salmone devasta paesaggi e comunità costiere, alterando per sempre l’equilibrio dell’ecosistema. In
Goodbye Pig, di Roberta Palmieri, è direttamente l’animale a prendere la parola. Un maiale racconta il suo ultimo giorno di vita, immaginando un altrove possibile, un futuro diverso. Il suo viaggio diventa metafora di tutte le esistenze negate, scartate, rese invisibili. In cinque minuti, questo cortometraggio ribalta la prospettiva: non siamo noi a osservare lui, ma lui a guardarci – e a chiederci conto di ciò che scegliamo di non vedere.
Mut, di Giulio Squillacciotti, ci porta tra i pascoli di montagna, dove il ciclo delle stagioni scandisce l’esistenza di due giovani allevatori e della loro famiglia. In un intreccio di silenzi, gesti e sguardi, prende forma una quotidianità che si rinnova da secoli, fatta di lavoro condiviso, cura per gli animali e armonia con la natura. In
Nebbia, di Tommaso Diaceri, l’attesa si fa sogno. In un canile, un cane anziano osserva silenzioso il tempo che passa. Solo di notte, quando le luci si spengono, immagina un’altra vita: una corsa libera, la compagnia di una bambina, la possibilità di essere ancora parte di qualcosa. La sua solitudine non è diversa da quella dei bambini senza famiglia, confinati anch’essi in spazi chiusi, aggrappati a un desiderio di libertà. In
U cuntu di Nenè che imparò a volare, di Giorgia Amodio, la scoperta del petrolio in Sicilia diventa favola distopica: la memoria collettiva si contamina di fantascienza e ironia, mentre un bambino, simbolo del futuro, viene attratto da presenze aliene in una terra ancora stregata dal mito dello sviluppo.
Un bel nulla, di Luca Walter Mariani, Bastiaan De Haas e Angelo Urgo, è ambientato tra le montagne d’Abruzzo, dove un piccolo borgo resiste al tempo. Gli ultimi abitanti – anziani, silenziosi, presenti – custodiscono storie che rischiano di perdersi. Parlano per radicare il futuro nella consapevolezza di ciò che sono stati, non per guardare indietro con nostalgia e rimpianto: un’Italia senza le sue aree interne è un corpo senza colonna vertebrale. La proiezione sarà seguita da un incontro con i registi Davide Tisato (Arance amare), Roberta Palmieri (Goodbye Pig), Giulio Squillacciotti (Mut), Tommaso Diaceri (Nebbia), Giorgia Amodio (U cuntu di Nenè che imparò a volare), Angelo Urgo e Bastiaan De Haas (Un bel nulla).
In parallelo e a seguire, la sezione presenta altri due titoli. Il mediometraggio
Abito di confini. Muoversi dietro le quinte del palcoscenico italiano (ore18.00, Cinema Massimo – Sala 3), di Opher Thomson, è un viaggio per immagini, da est a ovest, nell’Italia settentrionale: una sequenza incalzante di fotografie attraversa città e paesaggi familiari – da Trieste a Bardonecchia – intrecciando la quotidianità di stazioni e vetrine con i passi silenziosi di chi è in cerca di un futuro migliore. La narrazione visiva della migrazione si sovrappone così al nostro sguardo abituale, trasformando luoghi noti in territori di passaggio e ribaltando le prospettive. La proiezione sarà seguita da un incontro con il regista. Il paesaggio si intreccia con le storie, la memoria, la spiritualità, diventa voce nel lungometraggio
Il canto del respiro (ore 19.30, Cinema Massimo – Sala 3), di Simona Canonica, viaggio immersivo attraverso Australia, Mongolia e Italia, alla ricerca del “soffio vitale” che unisce ogni essere vivente alla Natura. Il suono del didgeridoo, il canto armonico, il respiro degli alberi: tutto si fonde in una vibrazione comune, che ci ricorda come ogni cultura, da sempre, riconosca nell’ambiente una dimensione sacra. La proiezione sarà seguita da un incontro con la regista.
Verso sera si avvia anche la sezione Panorama, che – novità di quest’anno – è articolata in tre focus tematici, con proiezioni abbinate a incontri di approfondimento con autori, studiosi, esperti. Al primo panel (ore 18.00, Museo Regionale di Scienze Naturali), dedicato alla difficile coesistenza tra uomini e specie selvatiche in zone particolarmente antropizzate, è collegato il film, presentato in anteprima nazionale,
The Shepherd and the Bear (ore 19.00, Museo Regionale di Scienze Naturali), girato dal regista statunitense Max Keegan nei Pirenei francesi, dove la reintroduzione dell’orso bruno in territori ancora dediti alla pastorizia ha diviso gli abitanti locali. Figure emblematiche di due opposti schieramenti sono un anziano pastore che cerca un successore, mentre il suo gregge viene aggredito dagli orsi, e un adolescente che invece vorrebbe vedere da vicino un esemplare del grande predatore.
Con un racconto immersivo e riprese mozzafiato, il film si snoda come una moderna fiaba popolare in una riflessione sulle tradizioni in via d’estinzione e sul rapporto dell’uomo con la natura selvaggia che va scomparendo.
Sempre verso sera, prende il via anche il Concorso documentari internazionali, composto quest’anno di 8 titoli, che affrontano temi sia da tempo al centro del dibattito ambientale, sia emergenti – o ritornati alla ribalta – in un periodo di rapidi rivolgimenti geopolitici e sociali come l’attuale.
Nocturnes (ore 19.30, Cinema Massimo - Sala 1), firmato dai due registi indiani Anirban Dutta e Anupama Srinivasan, è un viaggio immersivo nelle foreste dell’Himalaya orientale alla scoperta del mondo segreto delle falene. Attraverso l’utilizzo di schermi di tela illuminati, che le attirano a miriadi diventando quadri animati, un’ecologista e il suo giovane assistente della comunità indigena Bugun studiano e catalogano queste creature individualmente effimere eppure incredibilmente resistenti come specie, presenti sulla Terra da 300 milioni di anni, sopravvissute ai dinosauri e a cinque estinzioni di massa. Gli interrogativi sul loro destino a fronte dell’inarrestabile crisi climatica fanno riflettere sulle profonde interconnessioni del mondo naturale e sulla miopia di una visione antropocentrica che le trascura. La proiezione sarà seguita da un incontro online con i registi Anirban Dutta e Anupama Srinivasan.
Anche
Only on Earth (ore 21.30, Cinema Massimo - Sala 1), della regista danese Robin Petré, è un viaggio immersivo di grande potenza visiva nel mondo in pericolo della natura. Il film è stato girato, durante un’estate segnata da condizioni estreme di caldo e siccità, sulle montagne della Galizia meridionale, una delle aree europee a maggior rischio di incendi. Qui, per secoli, i cavalli bradi, pascolando nel sottobosco sotto l’occhio vigile dei cowboy, hanno contenuto gli impatti devastanti del fuoco tenendo pulito il terreno. Oggi, però, il loro numero si è drasticamente ridotto. Anche la vita da guardiani del bestiame sembra un retaggio del passato e uomini e animali devono affrontare incendi sempre più forti e vicini, mentre le voci di coloro che ogni giorno combattono per salvaguardare il proprio territorio testimoniano un dissidio ormai insanabile tra modernità ed equilibrio dell’ecosistema. La proiezione sarà seguita da un incontro online con la regista Robin Petré.
In seconda serata, in omaggio alla presenza di
Jessica Woodworth tra i relatori del panel dedicato in mattinata agli immaginari eco-distopici (ore 10.00, Il Circolo dei lettori), viene riproposto
La Cinquième Saison (ore 22.00, Cinema Massimo - Sala 3), ultima parte della trilogia dedicata al rapporto tra uomo e natura diretta dalla regista statunitense con Peter Brosens. Realizzato nel 2012, il film si è ritagliato nel tempo un posto a parte nei disaster-movie ambientalisti per la sua potenza visiva e allegorica, in cui la narrazione, incentrata sul piccolo paese rurale delle Ardenne oppresso da un inverno incessante, perde progressivamente realismo a favore di una visionarietà apocalittica intensificata via via dagli sconvolgimenti provocati su uomini e animali, dall’alterazione dei ritmi e dei tempi della natura. La proiezione sarà introdotta dalla regista.
GLI ECOEVENTI. Nel corso della giornata si svolgono due dei tre panel con cui la sezione Panorama approfondisce i temi affrontati da alcuni film. Distopie ambientali nell’audiovisivo contemporaneo (ore 10.00, Il Circolo dei lettori), legato ai film Everything will Change (in cartellone sabato 7 giugno, ore 21.30, Cinema Massimo - Sala 3) e La Cinquième Saison, proiettato in tarda serata, approfondisce come e quanto, negli ultimi decenni, la produzione mediale e culturale sia stata caratterizzata dalla rappresentazione di possibili universi negativi segnati da catastrofi naturali, che riflettono paure, problemi e contraddizioni del genere umano di fronte a perduranti e globalizzati stati di crisi. Bussola dell’incontro sarà l’Atlante delle distopie mediali, frutto di un progetto di ricerca dell’Università Cattolica di Milano che intende restituire una panoramica del fenomeno sotto il profilo delle collocazioni geografiche (luoghi della produzione e luoghi della rappresentazione), degli ambiti e mondi narrati e delle traiettorie spazio-temporali. Al panel intervengono la regista Jessica Woodworth, Bruno Surace, ricercatore presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino, Mattia Galli, PhD Student all’Università Cattolica del Sacro Cuore, Facoltà di Scienze Linguistiche e Letterature Straniere, Dipartimento di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo.
Il panel dedicato alla “Reintroduzione” delle specie selvatiche: successi e sfide della conservazione (ore 18.00, Museo Regionale di Scienze Naturali), legato ai film The Shepherd and the Bear, proiettato a seguire, e Lupi nostri (in cartellone sabato 7 giugno, ore 17.30, Cinema Massimo - Sala 1), è occasione per approfondire il dibattito controverso non solo sul reinserimento – o, spesso, il ritorno spontaneo – dei grandi predatori in aree oggi fortemente antropizzate, ma anche sull’efficacia dell’informazione rispetto al fenomeno, sulla sua opportunità e sui conseguenti benefici perl’equilibrio
degli ecosistemi, sulle modalità possibili di coesistenza tra uomo e animali selvatici. Al panel partecipano Luca Rossi, già professore ordinario presso il Dipartimento di Scienze Veterinarie dell'Università degli Studi di Torino, Samer Angelone, regista e biologo, fondatore della Swiss Science Film Academy, e Elisa Ramassa, funzionario di vigilanza presso Ente Parco Alpi Cozie.
In serata immagini e suoni si incontrano al Festival grazie a Die! Goldstein, nome d’arte del compositore e visual artist spagnolo, con base a Berlino, Diego Barronal, che nel suo lavoro mescola musica elettronica, d’ambiente e post-rock innestando eteree trame sonore, con intensi crescendo, su opere visive provocatorie, dirette a sottolineare l’impatto della nuova era consumistica digitale sulla vita umana e sulla natura. Al Festival, in una location inedita e inaspettata – Il mondo di sotto, la Cabina primaria Arbarello di Iren – Die! Goldstein presenterà, con una doppia esibizione (ore 21.00 e 22.30), la live cinema performance “Drowned Paradise”, immersivo viaggio audiovisivo in un ecosistema alterato, in dissonanza costante, dove la bellezza di creature mistiche si mescola al rumore di elementi tossici. Dalla superficialità della nostra epoca materialista alle profondità della nostra oscura realtà come specie, “Drowned Paradise” spazia tra distopia e utopia attraverso le rovine dell’anima umana, domandandosi se dalle maree di plastica potrà emergere la speranza.
05/06/2025, 15:14