FESTIVAL ORLANDO 12 - LESVIA di Tzeli Hadjidimitriou
In corso fino a domenica 11 maggio a Bergamo,
Orlando è diventato negli anni uno dei festival più interessanti del panorama queer italiano, astenendosi dal presentare semplicemente un palinsesto a uso e consumo del pubblico lgbt+ per offrirne uno il più possibile accessibile a vari livelli, anzitutto per quanto riguarda la partecipazione delle persone con disabilità, il linguaggio verbale condiviso e il costo del biglietto. Un'intenzione che la direzione guidata da Elisabetta Consonni dimostra attraverso un programma multidisciplinare (cinema, danza, teatro, incontri).
Il nome Orlando deriva dal romanzo cult di Virginia Woolf e l'evento fa proprie le parole di uno tra i più stimati accademici transgender contemporanei, lo statunitense Jack Halberstam: «Andremo a tentoni, improvviseremo e non saremo sicuramente all’altezza delle aspettative. Perderemo strade, macchine, i nostri programmi, perderemo forse anche la testa ma così facendo troveremo un modo diverso di dare significato alle cose, un modo in cui nessun* verrà lasciat* indietro».
Tra i film selezionati per questa edizione di Orlando c'è
Lesvia di Tzeli Hadjidimitriou (presentato anche a Some Prefer Cake, Immaginaria e Lovers), un documento imprescindibile per chi voglia approfondire la storia lesbica. Se questa infatti è stata a lungo relegata a capitolo minore nella stessa storia dell'omosessualità (senza contare il fatto che le registe queer sono tuttora una minoranza nella minoranza), Lesvia restituisce attraverso materiali d'archivio privati la ricchezza di un'esperienza, di un luogo e di un mito nato quasi per caso: Eresos, un borgo rurale che donne lesbiche di tutto il mondo hanno iniziato a frequentare in massa dagli anni settanta, spesso scoprendola una volta già allogiate a Mitilene e andandoci perché incuriosite dal fatto che vi nacque la grande poetessa Saffo. In anni in cui la rappresentazione delle persone non eterosessuali era irrisoria e fondata su stereotipi in tutti i media e le forme artistiche, i modelli di riferimento per le minoranze sessuali erano quasi assenti e Saffo era una tra le poche che la Storia non aveva cancellato. Trascorrere una vacanza nel suo villaggio (oggi circa cinquemila abitanti) era un modo per omaggiarla.
Ma a casa di Saffo - come ovunque - c'era un mondo da inventare, una storia tutta da scrivere. E si può dire che una parte è stata davvero scritta qui, dalle donne che qui si sono incontrate, conosciute, amate, hanno sfidato sessuofobia e lesbofobia, stretto rapporti di amicizia, costruito alleanze e immaginato pratiche efficaci quando la politica parlamentare le ignorava totalmente. Le intervistate raccontano di aver fatto emergere per la prima volta una libertà - sessuale, affettiva, corporea - che non avevano avuto altrove (o in pochissimi contesti), soprattutto quelle che provenivano da realtà in cui era più rischioso fare coming out.
Nemmeno a Eresos, ovviamente, era tutto facile e scontato. Non sono infatti mai mancati uomini che pretendono provocatoriamente di appropriarsi dello spazio 'conquistato' dalle donne lesbiche (nonostante la spiaggia si estenda lungamente), né coloro che fingono di non comprendere la differenza tra 'ostentare' e rivendicare, evidentemente perché incarnano un privilegio e non è mai mancato loro un luogo dove sentirsi completamente safe (ossia al sicuro, termine ricorrente nei racconti delle interpellate dalla regista. Questo succedeva principalmente con la borghesia locale, che le giudicava come pervertite e non degne di occupare la piazza del paese né di dormire all'aperto la notte - a riprova del valore politico del separatismo. La regista, in quanto originaria di Lesbo e lesbica, ricorda aver vissuto quelle dispute chiedendosi: "Sono una lesbica o una ragazza cresciuta a Lesbo?", in quanto sembrava inimmaginabile all'epoca essere entrambe.
Un'ulteriore forma di colonialismo avvertita nel borgo è quella esercitata da imprenditrici che a seguito della chiusura dei locali che la comunità lesbica aveva animato dagli anni ottanta in avanti hanno in tempi più recenti aperto nuove strutture senza però alcuna volontà di prendere parte alla vita del paese che le ha accolte. Queste due dinamiche sono qualcosa che pesa ancora di più dei conflitti sorti con gli abitanti del luogo, i quali hanno sempre vissuto prevalentemente di agricoltura, di pesca e di un turismo che attirava soprattutto famiglie. Divergenze (non indagate nel documentario) che si sviluppano in molti luoghi che come Lesbo sono prossimi agli sbarchi di migliaia di persone migranti colpite dalla necropolitica migratoria, contestata per ragioni diverse sia dagli attivisti per la libertà di movimento, sia dall'estrema destra ossessionata dall'idea di una presunta invasione.
Nonostante Tzeli Hadjidimitriou abbia una lunga carriera come fotografa, l'idea del film è nata solamente nel 2011. Trent'anni fa non si usava ritrarre ogni attimo della nostra vita come facciamo ora, ma gli archivi personali utilizzati sono sufficienti per ricostruire quella HerStory di cui l'isola dell'Egeo è stata quasi una base strategica. La diffusione di Internet ha significato un cambiamento irreversibile per le persone lgbt+, ovunque, eppure per molte donne lesbiche Eresos non è il ricordo di una vacanza paradisiaca, la casa in cui si sono trasferite, lavorano, organizzano rassegne, si prendono cura degli animali. Forse non emergeranno mai troppe prove di quanto da sempre si dice accadesse tra la poetessa Saffo e le sue allieve, ma grazie alle testimonianze presenti in film come Lesvia sappiamo cosa significa costruire sorellanza e difenderne la radicalità di un sogno come merita ogni bene comune.
05/05/2025, 08:18
Chiara Zanini