NOTTEFONDA - Un lutto che non si supera
Giuseppe Miale Di Mauro ci racconta la storia di Ciro, un uomo allo sbando dopo la perdita della moglie. Ogni notte vuole trovare chi l’ha investita e uccisa sulla strada. Facendo questo ha perduto sé stesso, il senso della realtà e la possibilità di far vivere una vita normale al figlio Luigi, tredici anni, un ragazzo costretto a crescere in una situazione che rasenta la follia. Interpretato da un ottimo
Francesco Di Leva, sempre in parte ed immerso nel buio e nella violenza di una notte tragica, Ciro è un personaggio che affascina ed emoziona sin dal primo minuto del film.
Tratto da un romanzo dello stesso regista e sceneggiato da "
Francesco Di Leva" e "
Bruno Oliviero", "
Nottefonda" è un film dal sapore (neo) realistico e violento che tratta temi molto duri, conservando uno stile asciutto ma mai eccessivo. La forza del lavoro sta proprio nella scrittura semplice e diretta e in una messa in scena scarna e minimale, tutta giocata su ambientazioni notturne e sospese.
Siamo all’interno di una Napoli più nascosta ed anonima, rispetto a quella che vediamo di solito nelle fiction sulla malavita o sugli scontri tra clan. "
Nottefonda" è, infatti, quello che si potrebbe definire un “dramma da camera”. Le ambientazioni sono quasi tutte al chiuso, i dialoghi secchi illuminano lo sfondo di una periferia piena di gru del porto, di rumori di muletti in azione, di container pronti a partire, di sabbia nera del vulcano e mare grigio d’inverno, di cavalcavia isolati e di strade periferiche e buie. Anche l’auto di Ciro diventa il set claustrofobico per la sua psicologia, sempre più complessa e dolorosa. A chi scrive le ambientazioni infatti ricordano suggestioni di film statunitensi quali "
Lo Sciacallo" di Dan Gilroy e anche "
Locke" di Steven Knight con un tesissimo Tom Hardy, chiuso nell’abitacolo di un’auto, in una simile deriva notturna.
Anche lo stile è interessante, la macchina da presa è fissa, senza troppi movimenti o esercizi di stile, inquadrature strette sui volti dei protagonisti (padre e figlio anche nella vita) per catturarne emotività e fragilità. Il finale, con il pianto liberatorio dell’attore nel cimitero, questa volta illuminato da una tenue luce diurna, chiude un film ben riuscito che emoziona e convince.
01/05/2025, 09:35
Duccio Ricciardelli