Emma Onesti ha realizzato un documentario, "
Dove siamo?", che dopo l'esordio (con premio) all'ultimo FilmMaker Festival di Milano e una seconda proiezione (con premio) a FrontDoc ad Aosta, si appresta il 14 novembre a una replica a Bologna per
Visioni Italiane.
Un documentario "privato", incentrato sul fratello della regista, Simone, un bambino nello spettro autistico, e sulla sua famiglia.
Emma, come arrivi a questo tuo esordio nel lungometraggio documentario?
Dopo un percorso un po' strano: avevo studiato cinema al liceo, poi mi sono allontanata per fare Storia dell'arte: sentivo di voler studiare le immagini ma non sapevo ancora bene quali... Poi in magistrale ho seguito un corso di Alberto Pezzotta sul cinema d'arte e ho capito di voler approfondire le immagini in movimento, a Milano allo IULM ho proseguito il mio percorso e ho scoperto il documentario, grazie al mio professore Andrea Caccia. Questo lavoro nasce da lì, è il mio film di laurea magistrale dell'anno scorso, marzo 2023: ci ho lavorato per quasi tutta la magistrale.
La mia tesi era sulla rappresentazione delle neurodiversità nel cinema italiano, ma siccome sono pochi titoli, una ventina dagli anni '90 a oggi, ci ho aggiunto anche la VR e le fiction e ho poi messo in pratica quel che stavo studiando.
Simone è mio fratello, nato dal secondo matrimonio di mio padre: la nostra situazione familiare è complicata, loro vivono a Verona dove anche io sono cresciuta, ai tempi lui aveva 7 anni (ora ne ha 10), non ha comunicazione verbale, non parla ma comunica in altri modi e sta ancora imparando. Volevo raccontare anche il mio avvicinamento a quella parte della mia famiglia, è stato anche una specie di terapia e un diario con cui cercavo di raccontare un nostro anno di vita, sia nel quotidiano sia nelle esperienze più straordinarie come le vacanze, che poi erano gli unici momenti in cui stavamo davvero insieme.
Ho applicato cose che ho studiato ma ho voluto anche staccarmene: di solito sono tematiche molto standardizzate e limitate. Non si parla davvero di autismo nel mio documentario, non è l'argomento principale: mi sono concentrata di più su come funziona una famiglia del genere, sull'interazione tra i personaggi.
Prima di "Dove siamo?" avevi già lavorato un po' nel documentario d'arte...
Sì, anche se un po' per caso... ho fatto un primo corto, "
Tatiana", di 16 minuti, su un'artista che realizza sculture in plastilina, piccole, come oggetti di design, l'ho incontrata prima che realizzasse la sua prima scultura in marmo e di grande dimensioni. E' capitato sempre in Università, ci hanno chiesto di parlare di un lavoro manuale: io l'avevo intervistata tempo prima per interessi miei, e mi è parso l'argomento giusto.
Quel corto era una sperimentazione, ha esordito a FilmMaker nel 2022, ho mischiato linguaggi diversi perché lei è non solo scultrice ma molto poliedrica, ho inserito anche i disegni che realizza sulle stories di Instagram...
Da lì sono poi andata in Georgia con un mio professore per un progetto su una fotografa, è stato molto bello, mi sono approcciata a un modo diverso di creare immagini e ho potuto lavorare anche con gli archivi. Lavorare sulle immagini è la cosa che mi dà più soddisfazione in questo momento.
Cosa ti ha mosso quindi nel lavorare a "Dove siamo?"?
Le prime cose che vengono in mente quando si parla di questi temi sono sempre esempi come "Rain Man": l'autismo non è sinonimo di genialità nascosta, è una cosa che può esserci ma ha anche tantissime altre espressioni. Quasi sempre c'è un solo tipo che viene rappresentato, il maschio bianco a medio-alto funzionamento, che non ha troppi ostacoli nella sua vita, una cosa su cui si può fare anche un po' ironia o attivare delle "buone azioni", e poi raramente sono protagonisti o davvero approfonditi.
Ecco, vivendolo e studiandolo so che c'è anche molto altro, e anche se le cose - specie negli Stati Uniti - stanno lentamente cambiando ho voluto dare anche il mio contributo. Mi piacerebbe portare avanti questo studio in un dottorato.
E' stato difficile arrivare con la videocamera in famiglia?
Li ho preparati bene prima! Anche se non avevano capito bene cosa stessi facendo, pensavano a una cosa più televisiva, solo alla fine di tutto si sono accorti che lo avevo fatto, durante non ci pensavano, si sono sorpresi di vedere che ne è uscito fuori un film!
Volevo fare cosa una molto personale, tutta tra di noi: ho iniziato le riprese a ottobre 2021, la prima cosa girata è stata una vacanza in montagna. Ho pensato: porto la camera e vedo come si comportano, ma è stato tutto molto naturale, se ne sono dimenticati quasi subito (un po' meno mio padre, ma perché è chiuso di carattere, e un altro mio fratello che non era convintissimo del progetto e quindi si vede meno).
L'unico che se ne è accorto di più è stato Simone, guardava spesso in camera, toccava il microfono, era molto incuriosito da questo oggetto strano che c'era tra noi: anche poi rivedendo alcune scene si guardava incuriosito, è stato interessante capire che lui - pur essendo quello che dirigevi meno di tutti - era quello più incuriosito dalla camera.
E come sei riuscita a portare avanti la divisione regista-sorella?
E' stato faticoso per me, all'inizio ero indecisa se essere o no presente nella narrazione, poi ho capito che esserci era la cosa più forte del film (per alcuni dovevo esserci anche di più, mi hanno detto).
Si vedono interazioni normali e quotidiane, non ho mai davvero diretto nessuno, non c'era niente di scritto inizialmente. Sapevo di voler girare un anno, completare la stagionalità, vedere come le cose vanno avanti pian piano e cambiano anche se non te ne accorgi durante. Ho cercato di essere la stessa persona che ero sempre, cercavo di rappresentare anche il mio essere fuori e dentro i loro rapporti, il fatto che mi senta non totalmente coinvolta nella loro famiglia: vivevo così le situazioni io come persona.
Loro mi parlavano come se non ci fosse la camera, io dovevo rispondere e calibrare le interazioni: la famiglia è un luogo delicato...
A inizio 2023, finite le riprese, mi sono affidata al montatore, Andrea Miele, abbiamo visionato tutto e gli ho lasciato una bozza mia di montaggio, che mi ero fatta per capire se avevano senso le immagini realizzate. Lui lo ha reso un film vero e proprio. Abbiamo aggiunto alcune scritte da un mio diario fatto per le riprese e per la tesi, su come andava avanti il lavoro, su come Simone reagiva: resta un film complicato da portare in giro, anche nella sua semplicità: è difficile farlo capire al pubblico.
A proposito, come sta reagendo il pubblico alle prime proiezioni?
Il premio a Milano è stato inatteso, come quello di Aosta. Sto vivendo un periodo strano, siamo stati quasi un anno fermi tra la prima e queste proiezioni, in cui ho provato a mandarlo in giro ma essendo un lavoro autoprodotto so che può sembrare anche amatoriale.
Capisco sia difficile che un selezionatore lo guardi fino in fondo: poi chi lo vede di solito lo apprezza, ma ha bisogno di ambienti più protetti per essere mostrato. Se entri nel meccanismo ti lascia qualcosa dopo la visione, o almeno così mi hanno detto!
Dopo un film come questo, così personale, cosa dobbiamo aspettarci in futuro?
Questo film mi ha fatto capire che sono molto interessata al tema in generale: alcune associazioni in Emilia Romagna, che lavorano con varie disabilità, mi han chiesto di fare un documentario su commissione su di loro, è bello confrontarmi con la loro realtà. Posso mettere in pratica le cose studiate ma con esterni, c'è forse meno creatività ma tanti altri stimoli, sono contenta.
Ora sta per partire un laboratorio di cinema con ragazzi con sindrome di down, un altro tipo di disabilità, basato sull'autorappresentazione: sono molto curiosa di vedere come andrà.
Altri progetti diversi li ho, ad esempio uno sul rapporto uomo-animale qui a Milano... amo cercare di capire sguardi diversi e prospettive diverse sulla realtà.
06/11/2024, 17:01
Carlo Griseri