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Note di regia di "Zamora"


Note di regia di
Parafrasando Moretti in Sogni d’oro, “Zamora è il mio film più bello”. Anche perché è l’unico che abbia mai diretto ma mi auguro davvero non sia l’ultimo, perché è stata un’esperienza entusiasmante per me, a cominciare dal rapporto umano prima ancora che professionale che si è instaurato con tutte le persone che hanno collaborato a questa produzione. Alcune le conoscevo da anni e mi ero ripromesso che laddove avessi esordito come regista mi sarebbe piaciuto averle accanto; per fortuna si sono rese quasi tutte disponibili. Altre le ho conosciute in questa occasione e si sono rivelate magnifiche scoperte. Se Zamora incontrerà i favori del pubblico e della critica, il merito è di tutta la squadra, da chi ha iniziato a scrivere la storia insieme a me a chi ha messo il sigillo sui titoli di coda. In ogni caso me ne prendo tutta la responsabilità, perché il film rispecchia totalmente il mio gusto e ciò che volevo raccontare a partire dalla base del romanzo di Roberto Perrone, a cui ho voluto dedicarlo.

A tal proposito, se c’è un rammarico è quello di non essere riuscito a fare in tempo a mostrargli altro che qualche foto di scena e piccoli spezzoni montati, ma la sua commozione alla lettura della sceneggiatura resta per me motivo di gioia e ricordo dolcissimo. I personaggi maschili di Zamora hanno tutti qualche limite: la riservatezza di Walter è in fondo presunzione di superiorità mista al timore di buttarsi ed esporsi allo sguardo altrui; piuttosto che aprirsi e affrontare le situazioni con maturità preferisce rifugiarsi nel risentimento e in un asfittico desiderio di vendetta. Suo padre fa il brillante in società ma è un piccolo borghese che si preoccupa più del giudizio dei vicini che di conoscere davvero suo figlio; il cavalier Tosetto, il nuovo datore di lavoro, considera il calcio una sorta di religione e obbliga dispoticamente i suoi dipendenti a praticarlo con regolarità; l’ingegnere Gusperti, l’antagonista sbruffone e competitivo, è un donnaiolo impenitente che lo bullizza fuori e dentro l’azienda; Cavazzoni, che diventerà il suo mentore, è un ex portiere caduto in disgrazia dedito all’alcol e al gioco d’azzardo.

Tutti, o quasi, saranno chiamati a compiere un’evoluzione che possa renderli meno ridicoli e grotteschi al termine dell’arco narrativo. Le figure femminili, di contro, sono tutte moderne e decisamente superiori per sensibilità e intelligenza. Ada, la ragazza di cui Walter si innamora, pur rispettando il codice comportamentale cui era ancora tenuta la donna negli anni ‘60, è del tutto indipendente e sgombra da preconcetti; Elvira Vismara, sorella del protagonista, rivendica il bisogno di una vita piena e felice a dispetto delle convenzioni sociali; sua madre Anna non si dimostra meno libera e moderna quando è il momento di appoggiarla, così come non fa mancare a Walter, senza essere soffocante, l’affetto e la fiducia che lo sostenga nella sua emancipazione; Dorina, giovane e disinibita, anticipa e rappresenta pienamente lo spirito della rivoluzione culturale sessantottina.

Si trattava poi di rappresentare gli anni ’60 anche dal punto di vista cromatico: non potendo attingere a documenti che ci restituissero i colori di quell’epoca, dato che foto e film erano essenzialmente ancora in bianco e nero, bisognava inventare dei toni suggestivi ed evocativi. Era un’Italia vivace, allegra, ambiziosa, sulle ali di uno sviluppo economico grazie al quale il benessere, la felicità sembravano essere alla portata di tutti; ma era un’Italia altrettanto semplice, pervasa da un sentimento di innocenza e di entusiasmo, come succede quando ancora non si percepiscono le turbolenze dell’adolescenza e si respira a pieni polmoni l’incoscienza di un’infanzia che ci illudiamo possa essere eterna.

La musica dell’epoca non poteva che rispecchiare questa ricchezza e ci siamo dotati, oltre che delle atmosfere composte ad hoc da Pacifico, di brani originali che sembrano essere stati scritti apposta per accompagnare determinati passaggi della storia, particolari umori dei protagonisti. Zamora racconta del potere che ha l’amicizia nell’aiutarsi reciprocamente e risollevarsi, racconta di un Paese e di un periodo che possono essere riassaporati per un attimo col sorriso e il proditorio soffio di una carezzevole nostalgia, mentre seguiamo un giovane uomo nel suo personale percorso di formazione: imparerà che è meglio affidarsi alla vita e all’amore senza troppi calcoli piuttosto che covare il rimpianto di non aver vissuto o amato affatto; e che quando non c’è modo di rimediare a una delusione profonda che si è procurata, è bene accettarlo prima possibile, chiedere scusa e perdonarsi, per poi tornare a guardare avanti.

Neri Marcorè