Scrivere Supersex, l’avventura della mia vita.
Quando mi è stato proposto di scrivere una serie ispirata alla vita di Rocco Siffredi mi sono messa a ridere. Il mio percorso, la sua vita, niente di più inconciliabile all’apparenza. Ogni grande storia nasce da un grande conflitto, il primo conflitto di questa storia siamo stati noi, io e Rocco, almeno sulla carta, perché poi la narrazione è sempre la possibilità di credere e costruire ponti impossibili, è forse questo il suo più commovente aspetto etico e trasformativo per me.
Ho accettato di tentare questo viaggio perché volevo, da donna, assumermi il rischio e il privilegio di raccontare il maschile, partendo da un maschio che del maschile, occidentale, è diventato, senza dubbio, emblema. Ascoltando la sua vita, si disegnava via via dentro di me una geometria sentimentale, prendeva forma il desiderio di narrare non il porno o i meandri di quel mondo, già così noti e bazzicati dall’audience mondiale, ma quello che sta dietro il porno, non l’emblema, ma come quell’emblema, quell’icona, è stata costruita e che prezzo una persona vera, in carne ed ossa deve pagare perché quella traslazione accada. Un’icona, un emblema è come l’incarnazione massima, il precipitato di un’intera costruzione, Rocco è il suo cazzo e il suo cazzo incarna il sistema di senso dentro cui un maschio diventa un maschio. Ho voluto dunque riattraversare la sua vita, immergermi in un lungo coming of age per raccontare il “farsi” di questa icona nella speranza che raccontando questo processo, si rendessero anche via via evidenti le radici “malate” della costruzione del maschio, nella speranza che nel vedere le gabbie con cui i due generi vengono costruiti e normati, si aprisse una possibilità di riflessione e forse, chissà, di sovversione di quelle gabbie stesse.
Ma tutto questo non basta mai per scrivere. Cosa c’era dietro la sua vita che mi attraeva oltre la volontà di ingaggiare un corpo a corpo con la costruzione del maschile? C’era la vita della provincia italiana, c’era una storia di fratelli, c’era il dolore della povertà, c’era la gabbia in cui certe creature nascono, c’erano le donne come oggetti del mistero, c’era la voglia di riscatto, la paura del fallimento, c’era la morte, l’amore e la sessualità. Mi sembrava allora ci fosse tutto, tutto di lui, ma anche, in un modo strano ed informe, in una strana carambola, tutto di me. Quando ho scritto Supersex, una delle mie più care amiche è morta. Era per me come un fratello. Ho sentito che la mia vita poteva fermarsi per sempre o ripartire, come era successo a Rocco bambino quando perse suo fratello Claudio e ho sentito la potenza di quel richiamo che lega in una scommessa estrema la vita e la morte. Ho sentito cosa ci stava in mezzo e c’era in mezzo il corpo, le pulsioni, la sessualità. Allora ho iniziato a sentire oltre che pensare. A capire oltre che concettualizzare. Ho sentito che volevo una storia che per parlare di un pornodivo, non usasse la “freddezza” del porno, ma lo scaldasse fino ad incendiarlo per rivelare ancora una volta ciò che c’è dietro, il cortocircuito che fa nell’era contemporanea il porno con la vita. Ho scelto di fare deflagrare i sentimenti dentro un grande melò. Ecco iniziava a prendere forma il quadro del mio racconto, un coming of age ibridato con un melò, un grande triangolo sentimentale, un viaggio che attraversa la domanda della contemporaneità che sta scritta nella critica relazione tra maschile e femminile, che sottende il sistema etero-patriarcale: è il sentimento conciliabile con la sessualità? Si può amare e desiderare la stessa persona? Dentro questi schemi con cui siamo socializzati maschi e femmine è possibile un incontro vero, quella cosa magmatica ed imperdibile che chiamiamo amore e se sì a che prezzo? Nella vita di Rocco Siffredi, pornodivo, queste domande che sono le stesse che sente ognuna ed ognuno di noi, rimbombano con maggiore evidenza perché questo fa un emblema: rivela a noi in maniera ipertrofica la verità del mondo in cui viviamo.
Da una parte c’è l’amore e il sogno di un bambino di essere guardato, dall’altra c’è il dolore e la morte ed in mezzo c’è il desiderio, la sessualità intimamente inestricabilmente connessa alle pulsioni più profonde. Sembra che la nostra società parli di sessualità, ma non è vero. Parla di genere e di porno, ma la sessualità con tutta la sua irriducibile e perversa e polimorfa potenza è ciò che il porno cerca di oscurare dentro un consumistico dispositivo masturbatorio mondiale. Questa invece serie la fa esplodere, perché nel porno l’altro si sclerotizza, nella sessualità, nella fatica dell’incontro deflagra e solo l’altro, lo sguardo dell’altro che non capiamo mai e che pure non smettiamo di desiderare e cercare, può davvero dirci chi siamo. Siamo capaci di accettare la sfida di quello sguardo? Sappiamo vedere i limiti di noi stessi? Sanno farlo i maschi in primo luogo? E sappiamo dunque, al fine, accettare il rischio più grande di tutti che è e sarà sempre amare ed essere amati senza per questo annientarci?
Francesca Manieri