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BERLINALE 71 - "La Veduta Luminosa", Holderlin in immagine


Presentato in anteprima mondiale alla Berlinale, l'opera di Fabrizio Ferraro parte dal testo del poeta tedesco per raccontare un viaggio verso Tubinga.


BERLINALE 71 -
Opera ardua è spiegare la poesia. Ancora più dura è interpretarla. Ma quando si tratta di declinarla attraverso un altro mezzo, apparentemente distante come il cinema, la sfida si fa decisamente più complessa e al tempo stesso intrigante.

E' questo il caso di "La Veduta Luminosa" di Fabrizio Ferraro, presentato in anteprima mondiale alla Berlinale 2021 nella sezione Forum, che parte dall'ultimo componimento poetico di Johann Christian Friedrich Holderlin, "La Veduta", per raccontare una storia di sofferta incomunicabilità.

Un regista cinematografico, ormai stanco della sua professione e forse della sua stessa vita, e una giovane assistente di produzione, partono da Roma verso Tubinga, per un viaggio che dovrebbe portarli sui luoghi in cui il poeta tedesco visse la sua ultima fetta di esistenza, all'insegna della schizzofrenia. Il contatto tra queste due solitudini sembra inizialmente poter portare ad un incontro creativo o, a tratti, anche qualcosa di diverso, ma una volta entrati nella folta boscaglia della Foresta Nera, qualcosa cambia, e il richiamo della natura diventa per il Signor Emmer qualcosa di totalizzante.

Scritta nel maggio del 1843, poco prima della sua morte e sotto lo pseudonimo di Scardanelli, "La Veduta" rappresenta pienamente l'inquietudine romantica di Holderlin, un ultimo soffocato inno a quella splendida natura che "i giorni rasserena". Ferraro costruisce un impianto narrativo e visivo di malickiana memoria, in cui la figura del protagonista va a combiaciare perfettamente con quella del poeta, riflettendone il profondo dolore di una ricerca tanto desiderata quanto impossibile.

Il film si apre con l'immagine del regista che, su un letto in una camera buia si ripete come un mantra "è arrivato il momento della consueta fuga". E in quelle parole è forse racchiuso il senso di tutto: una fuga dalla realtà quotidiana, quella in cui gli animali stanno chiusi negli zoo e non più liberi, o in cui qualunque scelta deve sempre avere un fine ultimo; ma anche, e soprattutto, una fuga da se stessi, nel tentativo di sfamare il desiderio primordiale di tornare ad essere un tutt'uno con la madre terra.

Un'opera che, scegliendo di procedere con i tempi anarchici della poesia, rappresenta un interessante unicum nel panorama contemporaneo.

03/03/2021, 07:05

Antonio Capellupo